Arrigo Poz è un affermato artista friulano.

Curioso per natura, alla ricerca continua di nuovi strumenti espressivi e
di tecniche innovative che al meglio potessero esprimere I’urgenza
interiore, Poz ha trattato il dipinto a olio, I’affresco, il mosaico e
la vetrata, ha illustrato libri e ideato manifesti, sorretto sempre da
una eccezionale abilità manuale, dall’inesauribile desiderio di operare,
di dar forma a pensieri e sensazioni.

Poz tratta una duplice tematica: da una parte I’amato
mondo friulano popolato di campi, di cortili, di alberi e di contadini,
dall’altra I’universo religioso che a partire dagli anni della piena
maturità, e dal terremoto del 1976 segnatamente, ha finito per prevalere
nella sua produzione.

I dipinti giovanili risentono inizialmente della poetica forte e carica
di istanze sociali di Giuseppe Zigaina, da cui Poz trae il gusto per il
colore pieno e costruttivo, per il segno largo e deciso (naturale
antefatto alIa futura produzione di vetrate), per il solido impianto
delle figure umane, peraltro ricondotte a una personale visione, che
vuole l’uomo e il suo difficile esistere sostenuto dal sogno e sublimato
dalla speranza, che stempera sia il dramma che quell’aspra rabbia che
sono i connotati primi della pittura e della fotografia del neorealismo.

La terragna materialità degli anni cinquanta trapassa in una dimensione
morale e sociale, ispirata ai valori della cristianità ma anche attenta
alle inquietudini e alle problematiche spirituali del nostro tempo. Si
evidenzia soprattutto la capacità di penetrare nell’animo dell’uomo, per
carpirne i più segreti sentimenti e riproporli in composizioni di forte
carica vitale.

Le opere di carattere sacro, che lo rendono nel genere il maggior
artista friulano contemporaneo e lo fanno erede della grande tradizione
del passato, espressa nel Novecento dai gemonesi Giovanni Fantoni,
Felice e Giuseppe Barazzutti, dal carnico Giovanni Moro, da Fred Pittino
di Dogna o dal codroipese Renzo Tubaro, pur se datano fin dalla prima
attività (appena diciottenne affresca un Battesimo di Cristo nella
parrocchiale di Bicinicco) si avvalgono di un linguaggio personale e
innovativo a partire dal 1979, allorché con la grande composizione
plurimaterica (bronzo, ferro, legno) dell’atrio della basilica della
Madonna delle Grazie in Udine in memoria del terremoto del 1976, Poz si
impone alIa critica e al largo pubblico come il “nuovo” interprete della
cristianità nell’arte.

Negli anni seguenti contenuti e forme si affinano in una ininterrotta
sequenza di pale d’altare, di vetrate, di mosaici, di suppellettile
sacra, di affreschi devozionali, opere talora eclatanti per ideazione,
contenuto e dimensione (il grande ex voto della basilica delle Grazie
misura ben nove metri per sei), talaltra di più intima, raccolta e
domestica spiritualità, come la Madone del Batifiar, la “Madonna del
Battiferro” eseguita a mosaico nell’ingresso della sua casa di campagna,
esemplata sugli antichi segni devozionali della terra friulana.

La vena apparentemente facile della sua narrazione pittorica sottintende
in realtà una tormentata e meditata elaborazione alIa ricerca della
perfetta rispondenza tra pensiero e immagine. Una ricerca interiore che
lo ha portato a rifiutare coscientemente tematiche più attuali, meglio
ancora “alla moda “, e certo più remunerative. Ciò che piace in Arrigo
Poz, lo ha scritto Sgorlon nel 1974, “è il fatto che egli si è maturato
in piena libertà e indipendenza”: non rimanendo fuori dal mondo,
tuttavia, anzi portando in esso una sua personale e poetica visione
dell’arte, convinto, come Kart Rehner, che anche in un mondo malato come
quello di oggi, che del freddo tecnicismo fa il suo credo, ” la . , . ”
poesia e necessaria “.

COMMENTO DI MARCELLO DE STEFANO (con il quale Poz ha collaborato in alcuni suoi film)