Data: 1990
Regia: Marcello De Stefano
Soggetto: Marcello De Stefano
Sceneggiatura: Marcello De Stefano
Fotografia: Claudio Toson
Riprese: Claudio Toson, Bruno Beltramini e Marcello Terranova
Musiche: Raul Lovisoni
Scenografia: Ermes Gazziero
Suono: Cometa-Roma
Speaker: Gianfranco Scialino e Graziella Ricci Polini
Montaggio: Salvatore Mereu e Marcello De Stefano
Editing: Cinecittà
Produzione: Demark Film, Udine, 1987
Durata: 74’

Visti
gli intenti principali dell’opera cinematografica di De Stefano, tra i
quali vi è sicuramente quello di favorire la conservazione e, nei casi
più gravi, la riappropriazione di un senso di identità in tutti i
friulani, anche e forse soprattutto in quelli che oggi vivono lontani
dalla loro terra d’origine, è parso quasi naturale che, giunto ad un
certo punto della sua continua attività, egli focalizzasse la propria
attenzione sul fenomeno che più di ogni altro ha portato via dal
territorio friulano migliaia di suoi abitanti: l’emigrazione.

Nasce
così un lungometraggio cui verrà dato il titolo Il prossimo – Ieri,
oggi, domani (emigrazione vecchia e nuova), titolo programmatico del
modo in cui verrà trattato l’argomento all’interno del film: il fenomeno
dell’emigrazione
visto nella sua forma passata, in quella dell’oggi e in quella che
potrebbe essere di un domani non molto lontano; in più c’è quel
sostantivo: il prossimo, anteposto al resto del titolo, molto
significativo, perché “parola ricca di senso evangelico e pertanto
implicante il concetto di «accettazione»” (141).

Mario Quargnolo, nel
suo articolo dal titolo “Il prossimo ieri, oggi, domani” (142) (col
sottotitolo “il regista friulano Marcello De Stefano ha compiuto un
lavoro di seria, austera ricostruzione storica che scava nelle coscienze
e che fa pensare), sottolinea come il tema dell’emigrante non abbia
trovato particolare fortuna nel panorama della storia del cinema.
Ripercorriamo a grandi linee, insieme all’insigne critico, le tappe che
hanno rappresentato i precedenti rispetto all’opera del regista
friulano.

La prima pellicola che prende in esame questo argomento è
L’emigrante diretto da Febo Mari, intellettuale ed anche attore
teatrale, che ha come interprete principale Ermete Zacconi “mostro sacro
della scena” ed “esponente del verismo più accentuato” (143).

Nel film,
girato nel 1915 e quindi nell’epoca del muto, Zacconi ricopre il ruolo
di un emigrante sfruttato nell’America del Sud. Appaiono diverse
didascalie che hanno la funzione di darci un’idea della drammatica
condizione del protagonista e, con lui, di tutti coloro che sono
costretti a lasciare il proprio paese in cerca di denaro per il
mantenimento proprio e della propria famiglia; esse sono, ad esempio:
«Chi vuole lavoro deve pagare una tangente», e ancora «Si lavora una
settimana per poco pane e per poco denaro».

La situazione è resa ancora
più tragica da un incidente di lavoro, in seguito al quale l’emigrante,
ancora inabile, non solo viene dichiarato perfettamente guarito e perciò
in grado
di ritornare a svolgere le proprie faticose mansioni, ma non viene
nemmeno risarcito per il danno subito sul posto di lavoro.

Sempre nel
1915 esce nelle sale The italian, film dello statunitense Reginald
Barker e prodotto dal noto regista Thomas Harper Ince. Il racconto
filmico si svolge nel cuore dell’enorme metropoli americana di New York,
dove Beppo Donetti, che prima viveva felice insieme alla sua amata
Annette Ancello in una Venezia «napoletanizzata» (come la definisce
sempre Quargnolo) nella quale lavorava come gondoliere, è costretto a
subire una lunga serie di umiliazioni, di soprusi e di sofferenze.

Seguono,
poco tempo dopo, Little Italy e An eye for an eye che guardano entrambi
con occhio benevolo alla figura dell’immigrato italiano che deve
rinunciare alla propria terra, alla vicinanza e all’affetto dei propri
cari, e che attraverso un lavoro stancante e molte volte di una
rischiosità mortale si guadagna faticosamente da vivere.

Ma torniamo
ora nel Bel Paese dove, negli anni Venti-Trenta, vedono la luce un paio
di opere che affrontano questa tematica. Si tratta innanzitutto di
Passaporto rosso (1935) del regista Guido Brignone, che ambienta la
vicenda nel periodo che va dal 1890 al 1922, e cioè “prima dell’avvento
del fascismo al potere in quanto l’Italia imperiale – per il fascismo –
non aveva bisogno di mandare i suoi figli all’estero: bastava e avanzava
l’impero” (144).

Abbiamo poi Luciano Serra pilota del 1938, ad opera di
Goffredo Alessandrini145, nel quale l’omonimo protagonista, ex eroe di
guerra, è costretto ad emigrare in America del Sud dove egli troverà ad
attenderlo una vita di stenti, di sacrifici, di dolori e di sofferenze,
costretto anche a subire lo sfruttamento della propria mano d’opera da
parte del padrone.

Arrivati a questo punto torniamo a
spostarci al di fuori dei confini nazionali per approdare al panorama
europeo, precisamente in Francia. L’epoca è sempre la stessa dei film
appena descritti e il nome del regista è quello di uno dei più grandi
registi della storia del cinema, non solo francese ma mondiale, ovvero
Jean Renoir, che nel 1935 firma Toni. La pellicola è ambientata in
Provenza, dove il protagonista Antonio Canova, detto Toni, è coinvolto
in una fosca vicenda.

Nell’immediato dopoguerra lo spirito con cui
viene affrontata l’emigrazione sul supporto della celluloide cambia per
diversi motivi: innanzitutto per le mutate condizioni politiche e le
mutate condizioni dell’emigrazione stessa.

Citando brevemente i titoli
delle opere di questo periodo ritroviamo Il cammino della speranza
(1950) di Pietro Germi nel quale alcuni poveri siciliani tentano di
passare il confine italo-francese per andare alla ricerca di un futuro
migliore; Emigrantes (1964) di e con Aldo Fabrizi, nel quale il
protagonista decide di emigrare in Argentina; Il gaucho (1964) di Dino
Risi che ha come interpreti Vittorio Gassman e Amedeo Nazzari; il
divertente Bello onesto emigrato in Australia sposerebbe compaesana
illibata (1971) di Luigi Zampa e con Alberto Sordi e Claudia Cardinale;
ed infine Pane e cioccolata (1973) di Franco Brusati.

C’è da dire,
comunque, che benché nei film citati la figura dell’emigrante sia
guardata con una sorta di “leggerezza” in più, la sue condizioni di vita
vengono sempre descritte come durissime e difficili da sostenere.

Ed
è a questo punto che si inserisce il film-saggio di Marcello De Stefano
nel quale il fenomeno dell’emigrazione viene ricostruito in maniera
austera dal punto di vista storico, sociale, culturale ed artistico,
togliendo ogni spazio all’elemento “spettacolo” che aveva caratterizzato
in maniera diversa le opere precedentemente citate. Qui il regista
“rifiuta lo stereotipo di un falso sentimentalismo, preferendo un
approccio affidato ad un continuo confronto dialettico tra il piano
«assolutizzante» del fenomeno e,
quello «contingente», costituito dall’emigrazione friulana, la cui storia è sviluppata all’interno di un grande affresco” (146).

Il
film si apre con un fotogramma muto nel quale vediamo ripreso un campo
delle colline friulane sul quale passa un trattore ad ararne la terra.
Lo stesso fotogramma è posto in chiusura della pellicola; esso sembra
identico al precedente, ma in realtà non lo è perché, come dice
Iacovissi, nell’articolo intitolato “Film da meditare con mente e
cuore”, “se all’inizio, si trattava di un fotogramma di voluto sapore
oleografico, significativamente manieristico, alla fine tale immagine si
carica di tutti i contenuti ideologici del film”, che passerò ad
esporre di seguito, “assurgendo, per così dire, a simbolo di una
acquisita ed autentica coscienza ecologica permeata d’una profonda
armonia tra gli uomini, e d’una terra rispettata e salvaguardata” (147).

Il
leitmotiv, in questo dodicesimo film-saggio che Marcello De Stefano
realizza in Friuli, è costituito da brani di cinegiornale (di invenzione
del regista) che riportano i momenti salienti relativi alla «Seconda
Conferenza Nazionale dell’Emigrazione», tenutasi a Roma dal 28 novembre
al 3 dicembre del 1988.

Esso ritorna tre volte all’interno della
lunghezza della pellicola e dà vita a quello dei due piani di lettura,
che sempre sono presenti nei lavori cinematografici del regista,
chiamato momento universalizzante (il momento contingente invece è
costituito dal racconto della sola emigrazione friulana).

Prendendo
lo spunto da questi leitmotiv, De Stefano illustra la nascita e lo
sviluppo dell’emigrazione che “scaturisce da quel crocevia di culture e
di etnie diverse che è il Friuli, sempre comunque accomunate dallo
stesso destino” (148).

Il
film passa ad illustrarci i vari mestieri svolti dagli emigranti
friulani nelle diverse terre in cui si recarono in cerca di fortuna. Una
novità è che ne Il prossimo – ieri, oggi, domani (emigrazione vecchia e
nuova) viene sottolineato anche il ruolo di donne e bambini come
coprotagonisti importantissimi del fenomeno migratorio, “coprotagonisti”
fino a questo film mai considerati nei libri relativi all’emigrazione
friulana, per cui il film saggio copre finalmente questa lacuna.

In
seguito, ritornando ai giorni nostri vediamo arrivare nel nostro paese i
figli e i nipoti di quegli uomini e di quelle donne che tanti anni
prima lo avevano a malincuore lasciato; vediamo come essi vengono
accolti con calore dalle famiglie che li ospiteranno per il periodo nel
quale, attraverso una “vera e propria controlettura dei dati storici,
artistici e culturali” (149) che caratterizzano il Friuli, avranno modo di
arrivare ad una profonda conoscenza della terra di cui tanto spesso gli
avevano parlato i loro cari.

Questi giovani vengono guidati, oltre che
in luoghi significativi del territorio friulano, anche in altre parti di
Italia. Particolarmente significativa è la visita a Venezia:
inizialmente De Stefano aveva previsto un taglio sulla Chiesa della
Madonna della Salute, presente nella città lagunare, ed un successivo
confronto con “un’analoga e diversa realtà architettonica religiosa
friulana”150 rappresentata dalla “chiesetta votiva”.

Ma poiché nel
frattempo uscivano su parecchi giornali diversi articoli, nei quali il
Friuli veniva considerato come “pura espressione di Venezia” (151)
negandogli quindi allo stesso tempo una propria specifica identità anche
artistica, il regista friulano operò un cambiamento nelle sequenze
suddette. E ciò aggiungendo, in sede di montaggio, un “a solo” nel quale
è rivendicata la specificità friulana, precisata dalla lettura degli
stilemi – specifici – dell’architettura
veneziana ed evidenziata dal confronto tra il Palazzo Ducale di Venezia
e la Loggia del Lionello di Udine, che pur essendo di chiara matrice
veneta presenta decise caratteristiche che la fanno differire da quello
e, nello stesso tempo, fanno di essa una forte espressione del modo di
essere tipicamente friulano.

Nel finale del film, momento
attualissimo (152) (come lo definisce Quargnolo), vediamo l’emigrazione
friulana, ormai divenuta per la maggior parte tecnologica, lasciare il
posto al fenomeno opposto, a quello dell’immigrazione dei tantissimi
extra-comunitari che oggi popolano la nostra regione.

De Stefano
affronta l’argomento sottolineando come sia necessario un confronto con
questo “prossimo” e con la sua cultura, confronto che deve essere scevro
di ogni forma di pregiudizio e diffidenza che di solito si è portati ad
avere nei confronti di qualsiasi realtà che si configuri come un
qualcosa di diverso da noi.

Il regista invita a rapportarsi con questi
nuovi poveri in termini di accettazione, di accoglienza e di
comprensione per i loro problemi, ricordandoci come anche noi, un tempo,
fummo costretti a lasciare le nostre terre al fine di trovare un lavoro
che permettesse alle nostre famiglie una vita perlomeno decente, e come
anche noi all’inizio trovammo l’ostilità della gente del luogo.
Insomma, si tratta di una “sorta di sfida in positivo” (153) per la nostra
regione: “il Friuli, un tempo terra di emigrazione, oggi è divenuto
terra di immigrazione, sfida, questa, che la comunità friulana dovrà
raccogliere ed affrontare, se non vorrà ripudiare gli stessi sentimenti e
le stesse fatiche dei suoi emigranti” (154).

Dal punto di vista
stilistico la pellicola presenta moltissime finezze. Come avremo modo di
mettere in luce nel capitolo dedicato ai caratteri formali tipici del
cinema friulano di Marcello De Stefano, possiamo
facilmente
notare che qui, come negli altri suoi film, egli non utilizza mai la
“dissolvenza” o qualsiasi procedimento che potremmo definire
“addolcificatore” e questo per restare fedele ad un suo pensiero
elaborato in merito al rapporto tra “lingua friulana” e
“grammatica-sintassi cinematografica”.

Perciò nella sequenza di Il
prossimo – ieri, oggi, domani nella quale vengono mostrati i lavori
conclusi degli emigranti friulani all’estero, le diverse scene si
susseguono l’una con l’altra per stacchi e tagli in testa e coda, i
quali creano nello spettatore l’illusione di trovarsi davanti ad una
serie di continue dissolvenze incrociate, dove esse sono invece del
tutto inesistenti.

Ancora da ricondurre al desiderio del regista, di
restare legato ad una sostanziale fedeltà ed aderenza a quello che è
l’animo friulano, è l’uso delle fotografie come mezzo per illustrare la
storia dell’emigrante friulano. Egli, infatti, avrebbe benissimo potuto
utilizzare per questa sua ricostruzione storica, dei filmati d’epoca
sull’emigrazione, che esistono sicuramente in discreto numero; ma come
in Grafiz ’tun orizont (dove, come ho già sottolineato, egli usa i
disegni di Ermis per descrivere la vita di padre Luigi Scrosoppi) anche
qui egli preferisce affidarsi ad un supporto fisso, immobile, forse più
discreto che è la fotografia.

È la macchina da presa a muoversi, a
scrutare volti, ad evidenziare particolari, a rendere, con inquadrature
insistite, la magia ed il fascino di quel lontano passato immortalato
per sempre, donando così alle fotografie, ove la situazione possa
richiamarla, una certa dinamicità (un esempio di ciò sono la scena
riguardante la nave con a bordo gli emigranti e quella “della zattera
costruita dai taglialegna-segantini con i tronchi segati”155 che
sembrano entrambe scorrere sulle acque).

Ma c’è anche un altro motivo,
sempre dettato da una coerenza di linguaggio, per cui De Stefano
utilizza il materiale fotografico, e cioè l’intenzione di “rendere il passato
in una ferma fissità di fondo, nel suo senso di eventi appartenenti ad
un ieri decisamente collocato in una immobile lontananza” (156).

Per
rifarci all’articolo di Roberto Iacovissi pubblicato da “Segnâi di lûs”
che abbiamo riportato ad introduzione dell’analisi dei film, possiamo
citare una scena, o meglio suggestione visiva, presente in Il prossimo –
ieri, oggi, domani (emigrazione vecchia e nuova), che richiama
direttamente il soggetto del film che De Stefano aveva scritto nei
primissimi tempi della sua frequenza del Centro Sperimentale dopo la
visione di Carosello napoletano (1953) di Ettore Giannini.

In entrambi,
infatti, troviamo l’immagine del bicchiere di vino che si carica di
importanti valori simbolici. In “Idea per un film musicale sul Friuli”,
come abbiamo già avuto modo di ricordare, il rosso del bicchiere di vino
viene a trasformarsi nel rosso della bandiera italiana; invece in
questo dodicesimo film-saggio abbiamo un bicchiere di vino rosso,
inquadrato in dettaglio e stretto nella mano di un uomo disperato che
annega i propri dispiaceri e le proprie frustrazioni nell’alcol, che
nell’inquadratura successiva cede il posto ad un altro bicchiere di
vino, questa volta tenuto in mano da una donna, che lo porge ad un uomo
vigoroso il quale sta tagliando della legna con la propria ascia. Come
dice Quargnolo, De Stefano con queste inquadrature vuole rappresentare
“due diversi modi di essere del vino che concretizzano due diversi modi
di essere dell’uomo” (157).

Un altro particolare da evidenziare è quello
riguardante il fatto che il paesaggio è volutamente inquadrato in
maniera cartolinesca e questo per rappresentare il sentimento di
nostalgia dell’emigrante nei confronti della sua terra e dei suoi cari
ed il desiderio di sentirsi vicino ad essi: la cartolina per tanto tempo
ha costituito, infatti, l’unico modo, per chi si trovava suo malgrado
all’estero, di sopperire a questa dolorosa distanza, tanto è vero che alla fine della sequenza “cartolinesca”, è di scena una mano che stringe, in dettaglio, una cartolina.

Nel
film, De Stefano passa anche in rassegna alcuni aspetti di carattere
culturale, sviluppatesi in Friuli, legati al tema dell’emigrazione e che
il regista tratta attraverso il teatro di Renato Appi, le poesie di
Gianfranco Ellero, Roberto Iacovissi e Leonardo Zanier, l’opera
scultorea di Giorgio Celiberti dal nome “Albero”.

Importantissima è
poi la colonna sonora, composta da Raul Lovisoni, nella quale spicca
senz’altro la commovente villotta friulana di Arturo Zardini dal titolo
“L’emigrant”, le cui parole riescono ad esprimere al meglio il
sentimento che ha animato i nostri avi emigranti: «Un dolor dal cûr mi
ven / dut jo devi bandonâ / pari, mari e ogni ben / e pal mont mi tocje
lâ».

Il prossimo – ieri, oggi, domani (emigrazione vecchia e nuova)
viene presentato al pubblico per la prima volta da Mario Quargnolo, che
l’ha definito “un inno alla civiltà dell’amore” (158), al cinema Ariston in
via Aquileia ad Udine, domenica 16 dicembre 1990. La manifestazione
viene inoltre patrocinata dall’amministrazione provinciale di Udine,
rappresentata nell’occasione dall’avvocato Giovanni Pellizzo, assessore
all’emigrazione di quegli anni.

In seguito il film viene proiettato
nell’ambito del ciclo di studi del Centro ricerche e attività ecumeniche
(Crae) su Ecumenismo verso il 3° millennio bilanci, problemi,
prospettive tenutosi in data 17 aprile 1991, alle 18, nell’aula magna
della scuola media Pacifico Valussi di via Petrarca in Udine. Alla
proiezione è seguito un dibattito presieduto dallo stesso regista De
Stefano riguardante la varietà di etnie, culture e fedi religiose di
fronte alle quali il fenomeno migratorio ci pone anche nella nostra
regione.

Nell’ottobre del 1992 viene proiettato durante un pomeriggio
al corso di aggiornamento di lingua italiana per docenti austriaci di
scuole secondarie, patrocinato dai Ministeri della Pubblica Istruzione
italiano e austriaco, e organizzato dal professore docente universitario
Nereo Perini, all’Università di Udine.

NOTE

141 Mario Quargnolo, Una prolusione critica in “Il cinema friulano di Marcello De Stefano”, A. S. Macor Editori, 1993. pag. 56.

142
Mario Quargnolo, Il prossimo ieri, oggi e domani su «Friuli nel Mondo»,
aprile 1991. Le informazioni seguenti, riguardanti la figura
dell’emigrante nel cinema, sono state ricavate da questo articolo.

143 Ibidem.

144 Ibidem.

145 Il film, sceneggiato dal
regista e da Roberto Rossellini, ebbe la supervisione di Vittorio
Mussolini dato che doveva essere una esaltazione e, quindi, una
giustificazione della guerra d’Africa, e vinse al Festival di Venezia
del 1938 la Coppa Mussolini.

146 Roberto Iacovissi, Film da meditare con mente e cuore su «Udine teatro», giugno 1991.

147 Ibidem.

148 Ibidem.

149 Ibidem.

150 Mario Quargnolo, Una prolusione critica, cit. pag. 62.

151 Ibidem.

152 op. cit., pag. 56.

153 Roberto Iacovissi, art. cit.

154 Ibidem.

155 Mario Quargnolo, op. cit., pag. 59.

156 Op. cit., pag. 58.

157 op. cit., pag. 62.

158 Così in «Messaggero Veneto»: La prima di De Stefano: un inno alla friulanità, 17 dcembre 1990.