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Novella Cantarutti, nota poetessa e scrittrice friulana, è stata la mia insegnante di italiano durante le scuole superiori.

Mi colpirono la serietà del suo impegno didattico che svolgeva scrupolosamente e l’amore per la letteratura e la poesia italiana che ci trasmetteva.

Quando leggeva Dante socchudeva gli occhi (lo sapeva a memoria) mentre dal suo viso assorto traspariva un’interiorità che pareva in stretta comunione con il grande poeta, come se rivivesse con lui assieme a noi emozioni, stati d’animo, momenti di stupore…

In quell’atmosfera che sapeva creare in classe si fondevano due poeti d’altri tempi, di diversa estrazione e cultura, ma simili nel percepire i palpiti della vita, le vibrazioni dell’animo universale.

Io intuivo che questa insegnante, dal viso esile ed austero contemporaneamente ma dai lineamenti nobili e dallo sguardo profondo, era una grande osservatrice: riusciva a leggerci dentro e sapeva sempre cogliere alcuni aspetti particolari della nostra personalità.

Questa sua grande capacità di osservazione emerge nei suoi scritti poetici e in prosa. In essi coglie ogni aspetto della vita, lo rielabora creativamente e lo descrive con raffinatezza espressiva unica nel suo genere, quasi fosse un gioco, le cui parole costituiscono una sorta di esplosione pirotecnica dalle varianti cromatiche, le scintille ed i ricaschi luminosi che si spengono nel cielo notturno della sua mente.

Di lei si legge nel sito http.//www.sangiorgioinsieme.it/novella-c.html”:

Novella Cantarutti è nata a Spilimbergo e vive a Udine, dove ha insegnato per molti anni letteratura italiana e storia all’Istituto tecnico industriale “A.Malignani”, dopo aver diretto la Scuola Media della cittadina del mosaico.

Scrive nella parlata di Navarons, paese della Val Meduna, patria della madre e sua; il paesaggio umano e fisico di Navarons costituisce spunto e motivo di creatività ed anche oggetto oggetto prevalente di ricerca e studio etnografico, a partire dal 1946.

Fin dal primo dopoguerra la Cantarutti è presente nel quadro della letteratura friulana ; ha condiviso le posizioni innovatrici di Pier Paolo Pasolini , dell’Academiuta casarsese e di Giuseppe Marchetti che animò il gruppo Risultive, mantenendo però una sua linea.

Sue poesie sono state tradotte in francese, tedesco, inglese, rumeno, sloveno, romancio, catalano e musicate da diversi compositori, tra cui Cecilia Seghizzi, Oreste Rosso, Albino Perosa, Olinto Contardo, il gruppo musicale ” I Braul” .

Tra le numerose voci della sua bibliografia, oltre alla produzione in versi, raccolta in gran parte nel volume “In polvara e rosa” (1989) , spicca quella in prosa di “Oh, ce gran biela vintura!” (1986), “Polvere di gente- Polvara di gent” (1989), “Bel che la dì ‘a discrosa li’ ali’ ” (1995), “Sfueis di chel âtri jeir – Fogli di un altro ieri” (1997) ; si annoverano inoltre diversi contributi e note sulla cultura tradizionale, tra cui “La collezione Perusini. Ori gioielli e amuleti tradizionali”, in collaborazione con Gian Paolo Gri (1988).

Il 18 giugno 2001 è stata presentata a Udine la raccolta della narrat
iva, delle preghiere e dei canti tradizionali dei paesi tra Meduna, Mujé e Colvera, ancora con il titolo “Oh, ce gran biela vintura!…”.

Tra i Libri Online il suo recentissimo testo teatrale, presentato a San Giorgio l’8 giugno 2001 “Bertrant cinc spadis” e la presentazione di “Oh, ce gran biela vintura!…”

Con sorpresa poco tempo fa mi disse che aveva fatto pubblicare un suo libro dal titolo “Segni sul vivo”, edito dalla Biblioteca del Messaggero Veneto e che in un capitolo (Con macchie in fiore p.228) aveva trascritto alcune osservazioni che riguardavano me, quando ero suo studente. Fu in occasione del funerale di un mio compagno di classe, scomparso prematuramente per una rara forma di leucemia…

“Gli fu intorno gran parte della sua quinta classe dispersa da pochi mesi, per salutarlo, prima che andasse via, e io feci il viaggio verso Buttrio con uno dei ragazzi: vedo il suo capo, nella luce grigia del treno e l’ombrello che teneva in mano, e riascolto la storia della sua esperienza, anzi d’una di quelle esperienze d’altri, dei grandi, che si rovesciano sopra vite incolpevoli, fino a raschiarne via ogni fiducia. Eppure lui non ne era uscito distrutto: era diventato uomo.

Parlava a bassissima voce, con un riserbo lucido, che rifiniva, per me, una personalità che avevo intuito negli anni di scuola, ricca di spazi segreti.

Per questo posso dire – a costo di far sorridere con sufficienza – che classi con gente così non si perdono, e che viene da ricordarle come macchie in fiore, nel prato magro.”

La professoressa Novella Cantarutti aveva intuito questa mia “personalità ricca di spazi segreti”. Non le posso dare torto. Essi mi procurano sofferenza, ma anche stupore. Poi penso ad una sua espressione che può essere ben riferita anche ad alcuni momenti della mia vita interiore:

“Molte piccole e grandi infelicità nascono sul terreno dei troppi desideri appagati che esauriscono gli spazi del sogno.”