dal Messaggero Veneto del 22/01/03
di Mario Turello

Lo storico e letterato recente vincitore del premio Epifania commenta le tesi espresse da Paolo Maurensig
«Improprio il richiamo ad Aquileia»
Maniacco: Concetto nobile, ma discutibile «Il celtismo è un vaneggiamento»


di MARIO TURELLO

Dopo Bartolini, è a Maniacco che mi rivolgo per conoscerne il parere sull’intervento di Paolo Maurensig alla convention di Forza Italia sulla cultura. Poeta, romanziere, saggista, insignito del premio Epifania 2002, Maniacco è anche storico (o meglio, controstorico) del Friuli e autore di quel pamphlet su L’ideologia friulana che, nel suo vigore critico, ancora si pone, a mio avviso, come paragone per un dibattito cui la politica nostrana sin qui si è sottratta, col silenzio o dietro il fumo della retorica estemporanea.

– Quale l’impressione generale sull’intervento di Maurensig?
«Mi è sembrato un po’ banale, o piuttosto troppo generico. Quando guarda al passato del Friuli, ho la sensazione che Maurensig non abbia una grande conoscenza della storia e della cultura del Friuli; quanto alle prospettive, egli richiama a una “rinnovata identità etica, politica e culturale della nascente Europa dei popoli”, ma non dice quale essa debba essere, quali caratteri debba avere. Io provo fastidio per le celebrazioni (a esempio quelle per Paolino d’Aquileia), e non credo all’Europa “dei popoli”: la mia è piuttosto un’idea sociale d’Europa, quella che nasce con la rivoluzione francese, la rivoluzione sociale, la classe operaia: l’Europa di Voltaire, e poi di Marx. Da storico, d’altronde, riconosco che da Aquileia si è diffuso il cristianesimo, ma non mi pare che ci si possa ancorare a una concezione carolingia dell’Europa. Il manifesto di Maurensig mi sembra ideologicamente, forse ingenuamente conservatore; Sgorlon è decisamente reazionario, ma in modo più colto, più argomentato».

– Ma le enunciazioni di Maurensig hanno anche un risvolto polemico molto concreto nell’indicare carenze e colpe della politica culturale regionale.
«È vero, e in gran parte le condivido. Sul piano pratico Maurensig (che è stato anche assessore alla cultura) è molto più efficace che su quello teoretico; verissimo quel che dice del Mittelfest, il confronto tra il suo spirito originario e quel che è diventato; concordo con lui anche riguardo all’identità, tema su cui del resto fa proprie le tesi di Gian Paolo Gri, e sottoscrivo quanto sostiene a proposito del friulano e della koiné. A ben vedere sono anche queste posizioni abbastanza scontate, ma con l’aria che tira, anche dire cose normali… penso che la Lega e i friulanisti lo metteranno in croce».

– E sul teatro?
«Approvo il richiamo a far tesoro delle intelligenze interne, che ci sono. Scarsa è la cultura tra i politici, ma la nostra regione può vantare buone intelligenze, anche molte direi, ma disperse atomisticamente, presenti troppo individualisticamente».

– Tornando al tema delle radici, o della matrici, come giudicare il richiamo al Patriarcato di Aquileia quale modello di «pluriculturalismo, multietnicità, tolleranza e accoglienza»?
«Mi sembra buono nell’intenzione, ma improprio. Che nel Patriarcato si parlasse tedesco e latino e si praticasse l’universalismo proprio della Chiesa non toglie che ciò riguardasse soprattutto le classi dirigenti».

– Improprio, ma non quanto certa altra mitologia, a cominciare dal celtismo…
«Il celtismo è vaneggiamento. Certo, ci fu un’epoca in cui l’ideologia della romanità ha nuociuto alla ricerca storica e archeologica. Ma appunto la ricerca ci dice che la nostra regione è stata la meno interessata dalla presenza dei celti. Si sono spesi troppi soldi, sbandierando false certezza prima dell’evidenza scientifica. Meglio sarebbe stato puntare sulle sole campagne di scavo, ed aspettarne le risultanze. Più ragionevole, e più nobile, il richiamo al Patriarcato… con qualche riserva sul piano storico».
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Novella Cantarutti:
«Sono richieste per avere pulizia»

Molto probabilmente gli organizzatori della convention sulla cultura di Forza Italia, quando hanno deciso di invitare a parlare anche un esponente della cultura, non si attendevano un intervento così netto e accusatorio come quello pronunciato da Paolo Maurensig.

Sta di fatto che la frustrazione, a lungo tenuta dentro davanti a una politica che ha dato spazio alla cultura quasi sempre soltanto in maniera strumentale, è esplosa e ha lasciato qualche segno.
Ne parliamo con un’attenta e sensibile interprete della cultura e della società friulana, la scrittrice e poetessa Novella Cantarutti.

«Non mi sento – comincia – di poter parlare con competenza sull’intero intervento di Paolo Maurensig che è stato critico su molti piani e su molti versanti.
Posso riferirmi soltanto agli argomenti che sento più vicini: mi riferisco ai discorsi sulla presunte identità e sugli accostamenti a genti di altri luoghi e di altri tempi, come i celti.
Poi Maurensig ha parlato molto bene criticando il fatto di voler omologare il friulano che è vario per natura e che si vuole ridurre alla koiné. Insomma, nel complesso condivido gran parte delle cose che ha detto su argomenti sui quali sono in grado di dare un giudizio, mentre non voglio sbilanciarmi su teatro e spettacolo, argomenti che conosco poco anche se mi piacciono e ringrazio Iddio che ora c’è il Giovanni da Udine».

– È utile che ci sia un tentativo di dialogo tra cultura e politica?
«Direi che sarebbe utile se tutto il panorama italiano – e intendo sia quello di ieri, sia quello di oggi – non fosse mal compromesso. Perché molto spesso un orientamento politico ha dettato un orientamento culturale, o viceversa. Insomma: ritengo che ogni persona di cultura debba avere il suo orientamento politico. Ma una cosa è orientamento, altra cosa è schieramento».

– Teme una specie di occupazione della cultura da parte della politica?
«Questo può essere ed è sempre stato. Ma tutto tutto dipende dalle persone, dal loro equilibrio. Comunque la commistione tra politica e cultura non mi convince perché quasi sempre si finisce con la politica che determina e la cultura che rischia di diventare subalterna».

– Non le sembra che sia una singolare coincidenza il fatto che dieci preti si rivolgano alla politica domandando una risposta su punti fondamentali nel campo del sociale e che poco dopo un esponente della cultura si rivolga alla politica criticandola fortemente. Sembra quasi una denuncia contro una politica che ormai sembra fatta soltanto di economia e poche altre cose…
«E di altre cose ancora più brutte».

– Sono richieste di dialogo?
«Direi che sono interventi che nascono da esigenze di pulizia, di chiarezza di risposte a domande che sono trascurate; sono domanda per quello che non viene dato. Insomma, non le vedo come interventi decisi per ottenere qualcosa di pratico. Entrambe sono dichiarazioni di onestà e manifestazioni di esigenza di qualche cosa che manca in questo mondo».

– Ma a essere sotto accusa resta sempre la politica…
«Io non professo un credo politico, anche se ho precisa idea. Venticinque o trent’anni fa dicevo ai miei allievi che prima di mettersi in tasca una tessera di partito dovevano pensarci su tantissime volte. Adesso non ci sono più tessere di partito. Adesso c’è questo strano andare che mi sembra quasi un andare simile a quello di pecore da parte di un popolo più o meno cosciente, più o meno interessato; o interessato soltanto ad avere un po’ d’erba. E poi ci sono anche alcuni capi che non sempre sanno dove sono e chi sono. E così si finisce per andare dietro a capi che sono in mezzo al gregge, e non davanti. E che, quindi, sono poco identificabili».
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