Dalla Vita Cattolica del 16/02/2002
Zaccuri 16/2/2002
Per coloro che non conoscevano il reale spessore del loro talento artistico è stato piacevole scoprire, a settembre, l‚effetto della gestualità espressiva di Enrica Mazzuchin, accompagnato dalla piacevolezza e dal fraseggio ordinato delle immagini fotografiche realizzate da Federica Marin, che della Mazzuchin è figlia primogenita.
Pittrice la prima, dedita ai fotogrammi della natura la seconda, rieccole, dopo l‚exploit nella «Casa della Contadinanza», sulla spianata del Castello di Udine, nuovamente protagoniste nella settecentesca Villa de Brandis, a San Giovanni al Natisone. Ritornano, dopo cinque mesi sulla scena e, per di più con un valore aggiunto: quello del componimento poetico di un altro
esponente del medesimo «casato», ovvero del figlio e fratello, Umberto… un arruolato non certo secondo nella scala dei valori, visto il suo modo di scrivere, pronto ad aggiungere pregio alla trilogia così composta e protesa nel gioco delle emozioni di cui l‚arte espressiva è capace.
Una proiezione nell’hinterland udinese in grande stile la loro, uniti dal Dna e dall’idealità sul proscenio che muove ora per l‚espressione pittorica dell‚Enrica ora per le immagini fotografiche colte da Federica, ora per la valenza della «prosa poetica» firmata dal fratello che, tra analisi e calcoli di progettualità ingegneristica, si è lasciato contagiare e
avvincere dalla musa Calliope. In tre a rivelare (fino al 17 febbraio) le proprie emozioni in bilico «Tra cielo e terra», giusto il titolo della rassegna, a camminare alla scoperta degli spazi e dei luoghi dove la mente docilmente plana con l‚estasi di cui l‚animo umano è capace, a godere della natura dipinta o fotografata, percorsa dagli echi e dalla spiritualità della poesia che, nel rincorrere delle stagioni, usa indugiare
sull’ondeggiare degli eventi.
Una rassegna ricca di loquacità cromatica, alimentata dal piacere delle immagini indagatrici che Enrica Mazzuchin per parte sua coglie come sequenza filmica tra le atmosfere, mobilitando il conscio e l’inconscio fino a consegnare al proprio pennello le modulate fragranze che sono ora di
gialli dorati, grigi incupiti, blu intensi, verde macchia, rossi
infuocati… viola tenui pronti a muovere tra sciabolate di luce sull‚onda immaginifica dei silenzi.
Paesaggi in cui convivono emozioni e concettualità di un‚autrice che, lontana dall’impegno della professione (dirigente scolastico), ritrova nella tavolozza momenti di piacevole
abbandono, mentre la spiritualità e la ragione s‚intrecciano sullo sfondo del puro romanticismo.
Pagine, le sue, dove l’idea natura è generatrice di
un vedutismo luminoso e di una sorta d’incantesimo tra atmosfere raffinate ed estatiche e, come già abbiamo avuto modo di dire, di una metafora invitante all’attimo fuggente che la subitanietà del gesto hanno saputo cogliere e fissare sulla tela.
La fotografia, invece, è il mezzo col quale Federica Marin ascende tra i ritmi e l’architettura della natura per cogliere la filigrana dei rami degli alberi, gli intrecci di luce, i riverberi onirici, gli orizzonti che si aprono ai profili e regalano emozioni.
Fotogrammi di un dialogo sottovoce con la natura, i suoi, che indagando tra gli spazi e il vitalismo dei segni tendono a consegnare la realtà fino a percepirne i sussurri.
Natale Zaccuri