dal Messaggero Veneto del 14/10/02
Il pittore della campagna
Giorgio Gomirato festeggerà i 70 anni con un’antologica
di MARIO BLASONI
Secondo di nove fratelli, cinque dei quali maschi, Giorgio Gomirato non ha seguìto, come il primogenito Roberto, le orme del padre Vittorino, avvocato, e si è dedicato all’arte. «Ho preso da mia madre Dirce Gritti, che dipingeva per diletto. Apparteneva a una famiglia benestante: sa, ha fatto le Dimesse…» Arrivato, proprio pochi giorni fa, al traguardo dei 70, Gomirato potrebbe festeggiare il compleanno con una bella antologica. Ma lui è restìo a mettersi in… mostra. «Data l’occasione, ci sarebbero buone opportunità, ma rimango incerto…
L’ultima personale l’ho fatta cinque anni fa per beneficenza, a favore della Casa dell’Immacolata di don De Roja». Giorgio Gomirato è un artista fuori dagli schemi e dalle cosiddette correnti. E’ il pittore della campagna, della civiltà agreste ormai praticamente scomparsa. Il suo modello è il gelso, con i rami tagliati che sembrano braccia, mentre le braccia dei personaggi si articolano come sviluppi arborei: queste e quelli per esprimere, allo stesso modo, la sacralità, ma anche la durezza, del lavoro contadino.
Un mondo conosciuto negli anni della guerra, quando con la famiglia era sfollato a Coseano. La fanciullezza, invece, l’aveva vissuta in Chiavris, dove ha abitato (fino al 1964) in una palazzina di fronte alla chiesa. «Per noi bambini, che giocavamo nella strada, Chiavris era un piccolo crocevia dell’universo, percorso da due tram: quello bianco di Tarcento e quello verde di San Daniele. Una strada importante perché di lì sono passati tutti gli eserciti. Ricordo, dopo l’8 settembre ’43, la calata dei tedeschi: colonne di carri armati coi cannoni puntati.
Poi i cosacchi, che ci hanno requisito la casa, e nel 1945 gli americani…» Già allora aveva cominciato a disegnare, incoraggiato da Mario Bernardinis, artista eclettico e arguto (noto per le caricature sul Puf, il settimanale umoristico di Elci Marcolin) che per un’estate gli ha fatto scuola.
E forse anche questo ha inciso sulla particolare visione artistica di Gomirato, che è stato definito «il pittore della nostalgia e dell’ironia». I suoi personaggi stilizzati («ho cominciato con i paesaggi, poi ho inserito le figure») hanno una dimensione grottesca: le donne vestite di nero, i braccianti, le lavandaie e gli altri protagonisti della vita rurale hanno teste molto piccole e mani tozze tanto da apparire sproporzionate.
Ma sono «veri strumenti primordiali di lavoro», come li definisce il critico Enzo Santese. Anche la scelta delle tonalità rientra nello stesso contesto creativo: i suoi sono i colori della terra, della vegetazione, delle albe grige nei campi. Il primo critico a vagliare i lavori di Giorgio Gomirato è stato Vittorio Marangone. «Avevo conosciuto il futuro deputato socialista allo Zanon di piazza Garibaldi, dove mi sono diplomato ragioniere.
Era il mio professore di lettere, bravissimo anche nella dizione: quando ci leggeva famose poesie – ricordo, in particolare, Quasimodo – riusciva a trasmetterci il pathos di quei versi: posso dire che ci ha fatto veramente amare la letteratura!» Marangone ha scritto la presentazione per la sua prima mostra, di monotipi, nel 1959 al circolo Bancario. Poi, come tutti gli artisti friulani del dopoguerra, anche Gomirato è passato sotto le forche caudine del «Cerbero» per autonomasia: Arturo Manzano, il prestigioso critico del Messaggero Veneto, noto per i giudizi ambìti, ma temuti. «Io, per la verità, non posso lamentarmi.
Ho avuto valutazioni positive fin dall’inizio. Nel 1964 ho presentato al Girasole una mostra di grafiche sulla catastrofe del Vajont, avvenuta l’anno prima, e Manzano mi ha definito, con una certa generosità, »il friulano che con maggior doti si affaccia alla ribalta negli anni ’60«. Ora Giorgio Gomirato abita in un tranquillo appartamento in via Val Resia, al Villaggio del sole.
Il suo soggiorno-veranda è una galleria antologica dell’arte friulana del dopoguerra: vi troviamo Pittino, Sopracasa, Zigaina, Colò, Altieri, Baldan, Livotti, Mocchiutti, Doliach, Beppe To… In così buona compagnia l’artista trascorre le giornate abbozzando i disegni per i suoi murales, ai quali si dedica da tempo alternando gli oli su tela e le incisioni a puntasecca.
Negli ultimi anni ne ha realizzati di imponenti (tema ricorrente è il borgo rurale al quale l’artista è sempre rimasto fedele): dalla scena agreste nel cortile del palazzo di via Lovaria (1994), all’allegoria delle stagioni nella sala consiliare di Treppo (1999), fino al matrimonio friulano nel polifunzionale di Villalta di un mese fa. La dinasty dei Gomirato, come si è accennato, contava due noti avvocati penalisti: papà Vittorino, protagonista di famosi processi nel dopoguerra (da quelli agli ex capi fascisti a quello agli assassini della »crocefissa di Masarolis«) e il suo promogenito Roberto, prematuramente scomparso l’anno scorso.
E conta, tra gli altri fratelli, due appassionati sportivi come Paolo e Guido (il secondo tuttora impegnato nel mondo dell’informazione), mentre lo stesso Giorgio in gioventù si era cimentato nel calcio attivo con i giovani dell’Udinese. E’ una dinasty che tuttavia si va assottigliando: se nonno Vittorino, infatti, ha generato nove figli (dei quali sei viventi), da essi ha avuto solo due nipoti. Uno, Matteo, è l’erede di Giorgio Gomirato e, rispetto al padre, ha preso un’altra strada: si è laureato in scienze politiche e lavora a Bruxelles. E neppure lui e suo cugino hanno figli.
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