Fb 27 giugno 21
Il sole rubato (p. Ermes Ronchi)
Gesù cammina accanto al dolore di Giairo, padre di una bambina morta a 12 anni, l’età in cui è d’obbligo fiorire, non soccombere.
Come è possibile non temere quando la morte è entrata in casa mia, e si è portata via il mio sole?
Così una donna che aveva molto sofferto, ma che si ribella al suo dolore, si avvicina a Gesù, e come mezzo per guarire vuole credere nel tocco della mano. L’emorroissa, la donna impura, condannata a non essere toccata da nessuno – mai una carezza, mai un abbraccio – scardina la regola con il gesto più tenero e umano: un tocco, una carezza per dire: ci sono anch’io! L’esclusa scavalca la legge perché crede in una forza più grande della legge. Si illude?
La fanciulla non è morta, ma dorme. E lo deridono. Tu credi nella vita dopo la morte? Sei un illuso. E Gesù a ripetere: “tu abbi fede”, lascia che la Parola salga alle labbra con l’ostinazione degli innamorati. Dio è il Dio dei vivi e non dei morti.
Allora Gesù cacciò tutti fuori di casa. Bellissimo e tremendo questo “cacciare” ciò che non vive, ciò che non crede alla vita. Costoro resteranno fuori, con i loro flauti inutili, fuori dal miracolo, con tutto il loro realismo. La morte è evidente, ma l’evidenza della morte è una illusione, perché Dio inonda di vita proprio le strade più nere.
Gesù prende il padre e la madre, i due che amano di più, e non ordina cose da fare, ma li prende con sé; crea comunità e vicinanza. Ricrea il cerchio degli affetti attorno alla bambina, perché ciò che vince la morte non è la vita, è l’amore. E il tempo dell’amore è infinitamente più lungo del tempo della vita.
E mentre si avvia a un corpo a corpo con la morte ed entra nel suo mistero silenzioso, Gesù porta i suoi tre discepoli alla scuola dell’esistenza, vuole che si addossino, anche solo per un’ora, il dolore di una famiglia, per acquisire quella sapienza del vivere che viene dalla ferite vere, dalla sapienza sulla vita e sulla morte, sull’amore e sul dolore che non avrebbero mai potuto apprendere dai libri: c’è molta più “Presenza”, molto più “Cielo” presso un corpo o un’anima nel dolore che presso tutte le teorie dei teologi.
Ed entrò dove era la bambina. Una stanzetta interna, un lettino, una sedia, un lume, sette persone in tutto, e il dolore che prende alla gola. Quella non è solo la stanza interna della casa di Giairo, ma è la stanza più intima del mondo, la più oscura, quella senza luce.
Gesù entrerà nella morte perché là va ogni suo amato. E non spiega il male, ci entra, lo invade con la sua presenza, dice: io ci sono.
Su ciascuno di noi, qualunque sia la porzione di dolore che portiamo dentro, qualunque sia la nostra porzione di morte, il Signore fa scendere la benedizione di quelle antiche parole: Talità kum. Giovane vita alzati, riprendi la fede, la lotta, la scoperta, la vita.
Avvenire Marco 5,21-43
C’è una casa, a Cafarnao, dove la morte ha messo il nido; una casa importante, quella del capo della sinagoga. Casa potente, eppure incapace di garantire la vita di una bambina. Giairo ne è uscito, ha camminato in cerca di Gesù, lo ha trovato, si è gettato ai suoi piedi: La mia figlioletta sta morendo, vieni! Ha dodici anni, età in cui è d’obbligo fiorire, non soccombere!
Gesù ascolta il grido del padre, interrompe quello che stava facendo, cambia i suoi programmi, e si incamminano insieme, il libero Maestro delle strade e l’uomo dell’istituzione. Il dolore e l’amore hanno cominciato a battere il ritmo di una musica assoluta, e Gesù vi entra: sono le nostre radici, e lui ci raggiunge, con passo di madre, proprio attraverso le radici.
Dalla casa vennero a dire: tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro? La tempesta definitiva è arrivata. Caduta l’ultima speranza. E allora Gesù si gira, si avvicina, si fa argine al dolore: non temere, soltanto abbi fede.
Giunti alla casa, Gesù prende il padre e la madre con sé, ricompone il cerchio vitale degli affetti, il cerchio dell’amore che fa vivere. “Amare è dire: tu non morirai” (Gabriel Marcel).
Prende con sé anche i suoi tre discepoli preferiti, li mette alla scuola dell’esistenza. Non spiega loro perché si muore a dodici anni, perché esiste il dolore, ma li porta con sé nel corpo a corpo con l’ultima nemica.
“Prese la mano della bambina”. Gesù una mano che ti prende per mano. Bellissima immagine: Dio e una bambina, mano nella mano. Non era lecito per la legge toccare un morto, si diventava impuri, ma Gesù profuma di libertà. E ci insegna che bisogna toccare la disperazione delle persone per poterle rialzare.
Una storia di mani: in tutte le case, accanto al letto del dolore o a quello della nascita, il Signore è sempre una mano tesa, come lo è per Pietro quando sta affondando nella tempesta. Non un dito puntato, ma una mano forte che ti afferra. Talità kum. Bambina alzati. Lui può aiutarla, sostenerla, ma è lei, è solo lei che può risollevarsi: alzati. E subito la bambina si alzò e camminava, restituita all’abbraccio dei suoi, a una vita verticale e incamminata.
“Ordinò ai genitori di darle da mangiare” Dice a quelli che la amano: custodite questa vita con le vostre vite, fatela crescere, incalzatela a diventare il meglio di ciò che può diventare. Nutrite di sogni, di carezze e di fiducia il suo rinato cuore bambino.
E allora Dio ripete su ogni creatura, su ogni fiore, su ogni uomo, su ogni donna, su ogni bambino e su ogni bambina, la benedizione di quelle antiche parole: “Talità kum. Giovane vita, dico a te: alzati, sorgi, rivivi, risplendi. Torna agli abbracci.
Gesù prima Li prende con sé, non gli spiega la sofferenza, non gli spiega la morte, ma la riempie con la sua presenza, dice: Io ci sono. Non offre spiegazioni ma un abbraccio.
7. Il settimo momento
“Tu porti salvezza
Si incamminano senza parole, il dolore non domanda spiegazioni, ma condivisione; non cerca un maestro sapiente che ne spieghi il senso – in tutta la bibbia, per quanto lo cerchi, non troverai il perché del male – , ma uno che faccia strada insieme, su cui appoggiare le ferite del cuore.