Fb 14 agosto ’22
Lc 12,49-53
I giorni dell’angoscia (di p.Ermes Ronchi)
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra. E come vorrei che fosse già acceso! Pensate che io sia venuto a portare la pace? No, vi dico, ma la divisione.
Gesù manifesta tutta la sua angoscia: ormai all’orizzonte si stagliano i bagliori di un incendio che lo coinvolgerà: ho un battesimo nel quale sarò battezzato e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Il Dio biblico non porta la falsa pace dell’imparzialità o dell’inerzia, ma “ascolta il gemito” dei poveri e dei piccoli, e poi prende posizione contro i faraoni di sempre. Dio non è neutrale: vittime o carnefici per lui non sono la stessa cosa, tra ricchi e poveri ha delle preferenze, e si schiera. Sono venuto a portare la divisione, quella che si realizza quando gli affamati di giustizia si oppongono ai fabbricanti di ingiustizia, quando i puri di cuore prendono le distanze dal corrotto e corruttore, quando i prigionieri escono dalle segrete e si mettono in cammino nel sole.
Ci capita, a volte, di essere senza fuoco, battezzati non nel fuoco ma nella cenere, di maneggiare le armi letali dell’indifferenza e della freddezza: restando muti davanti al grido dei poveri e di madre terra, mentre soffiano i veleni degli odi, si chiudono approdi, si alzano muri, avanza la corruzione, si avvelena la casa comune. Non si può restarsene inerti a contemplare la vita che ci scorre a fianco, malata. Altrimenti il male avanzerà e si farà sempre più arrogante e legittimato.
“Sono venuto a portare il fuoco”. Ecco l’alta temperatura morale in cui soltanto avvengono le trasformazioni positive del cuore e della storia, in cui si è creativi.
La Evangelii gaudium invita i credenti alla creatività nella missione, nella pastorale, nel linguaggio. Propone instancabilmente non l’omologazione, ma l’unicità; invoca non l’obbedienza ma l’originalità del vivere. Fino a suggerire di non temere eventuali conflitti che ne possono seguire (Eg 226), perché senza conflitto non c’è passione.
Continua il Vangelo: Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? Un invito pieno di energia, rivolto proprio a tutti: non seguite il pensiero dominante, non accodatevi alla maggioranza o ai sondaggi d’opinione.
Giudicate da voi stessi, intelligenti e liberi, svegli e sognatori, andando oltre la buccia delle cose: «La differenza decisiva non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa» (C.M. Martini). Tra chi si domanda che cosa c’è di buono o di sbagliato in ciò che accade, e chi non si domanda più niente.
Giudicate da voi… Siate profeti, siate profeti anche scomodi, dice il Signore. Anche oggi, a casa nostra, i nostri messaggi di coerenza possono essere una moltitudine, ogni giorno, tra gli adulti e tra i bambini. Creatività e coerenza. E far divampare quella goccia di fuoco che lo Spirito ha seminato in ogni vivente.
Avvenire XX DOMENICA C
Luca 12,49-57
Fuoco e divisione sono venuto a portare. Vangelo drammatico, duro e pensoso. E bellissimo. Testi scritti sotto il fuoco della prima violenta persecuzione contro i cristiani, quando i discepoli di Gesù si trovano di colpo scomunicati dall’istituzione giudaica e, come tali, passibili di prigione e morte. Un colpo terribile per le prime comunità di Palestina, dove erano tutti ebrei, dove le famiglie cominciano a spaccarsi attorno al fuoco e alla spada, allo scandalo della croce di Cristo.
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra. Il fuoco è simbolo altissimo, in cui si riassumono tutti gli altri simboli di Dio, è la prima memoria nel racconto dell’Esodo della sua presenza: fiamma che arde e non consuma al Sinai; bruciore del cuore come per i discepoli di Emmaus; fuoco ardente dentro le ossa per il profeta Geremia; lingue di fuoco a pentecoste; sigillo finale del Cantico dei Cantici: le sue vampe sono vampe di fuoco, una scheggia di Dio infuocata è l’amore.
Sono venuto a gettare Dio, il volto vero di Dio sulla terra. Con l’alta temperatura morale in cui avvengono le vere rivoluzioni.
Pensate che io sia venuto a portare la pace? No, vi dico, ma divisione. La pace non è neutralità, mediocrità, equilibrio tra bene e male. “Credere è entrare in conflitto” (David Turoldo). Forse il punto più difficile e profondo della promessa messianica di pace: essa non verrà come pienezza improvvisa, ma come lotta e conquista, terreno di conflitto, sarà scritta infatti con l’alfabeto delle ferite inciso su di una carne innocente, un tenero agnello crocifisso.
Gesù per primo è stato con tutta la sua vita segno di contraddizione, “per la caduta e la risurrezione di molti” (Luca 2,34). Conosceva, come i profeti antichi, la misteriosa beatitudine degli oppositori, di chi si oppone a tutto ciò che fa male alla storia e ai figli di Dio. La sua predicazione non metteva in pace la coscienza di nessuno, la scuoteva dalle false paci apparenti, frantumate da un modo più vero di intendere la vita.
La scelta di chi perdona, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare ma servire, di chi non vuole vendicarsi, di chi apre le braccia e la casa, diventa precisamente, inevitabilmente, divisione, guerra, urto con chi pensa a vendicarsi, a salire e dominare, con chi pensa che vita vera sia solo quella di colui che vince.
Come Gesù, così anche noi siamo inviati a usare la nostra intelligenza non per venerare il tepore della cenere, ma per custodire il bruciore del fuoco (G. Mahler), siamo una manciata, un pugno di calore e di luce gettati in faccia alla terra, non per abbagliare, ma per illuminare e riscaldare quella porzione di mondo che è affidata alle nostre cure.