Spiegare la differenza tra finito ed infinito non è irrilevante, ma fondamentale.
Si può ragionare su questo anche senza includere troppo le distinzioni della filosofia classica del passato.

Qualcosa è “finito”, affermiamo mentre lo stiamo immaginando mentalmente.
Per prima cosa generalmente ci riferiamo allo spazio, poi al tempo ed in seguito alle caratteristiche dell’essere e dell’ente.

Per poter essere più obiettivi possibile è necessario comprendere i nostri condizionamenti mentali acquisiti dalla cultura di massa dominante.

Quando diciamo “finito” immaginiamo dei confini spaziali o temporali.
In geometria quasi tutti sanno definire una retta, ma pochi approfondiscono cosa realmente intendiamo con essa nel momento dell’astrazione.

Quando consideriamo la retta limitata da due punti, cioè una linea, in realtà è una limitazione arbitraria. Con questa operazione mentale noi immaginiamo che una serie infinita di punti al suo interno debbano finire ai suoi opposti, oltre i quali non ci sono più.
Cosa sono questi punti immaginari? Degli infinitesimi, per cui non hanno consistenza concreta. I punti considerati non hanno larghezza, lunghezza e profondità, perché sono solo infinitesimi immaginari.

In una linea immaginiamo l’esistenza di infiniti infinitesimi, come se oltre la linea svanissero i punti considerati. Il mistero si infittisce quando cominciamo ad essere consapevoli che in una linea “collocata” su una retta infinita, riteniamo contigui i punti da un estremo all’altro della linea e pensiamo che le loro parti superiori ed inferiori siano equidistanti rispetto ad un limite totalmente immaginario che potrebbe essere un piano od un’altra retta dello spazio.

Il ragionamento sulla linea retta vale per qualsiasi forma spaziale che immaginiamo, anche pluridimensionale.

E così per il tempo che riteniamo la quarta dimensione dello spazio.

Se comprendiamo che le nostre categorie mentali generano i condizionamenti e viceversa, allora possiamo allargare il nostro orizzonte mentale per intuire l’essenza dell’essere.

A tale proposto riporto un brano di Emanuele Franz:

“Il filosofo Spinoza era avverso al pensare che la creatura finita possa avere al suo interno un Dio infinito. Egli aborriva l’incarnazione tanto da fargli dire: “Questo so: che tra finito ed infinito non si dà alcuna proporzione” e ancora: “che cioè Dio abbia assunto forma umana; anzi, a dire il vero, mi sembrano affermazioni assurde, come quelle di chi mi dicesse che il circolo ha assunto la natura del quadrato”

(Emanuele Franz, “Io nego ancora”- Audax editrice)”

Alla luce del ragionamento fatto sopra il brano riportato, la questione dello Spinoza si dissolve da sola..

 

(Una voce dal deserto)

 

 

 

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