II DOMENICA – Anno A Gv 1,29-34

 

(p. Ermes Ronchi)

 

Vieni, Signore, come una carezza di luce sugli occhi

affinché penetrino l’orizzonte scuro e ti vedano venire.

Vieni Signore

– e liberaci dal male

Vieni, Signore, come un bacio sulla fronte

che scuota i miei pensieri, dal profondo.

Vieni Signore

– e liberaci dal male

Vieni Signore, come abbraccio lungo e caldo

che consumi il freddo e la solitudine.

Vieni Signore,

– e liberaci dal male

 

 

OMELIA

Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!

Ecco l’agnellino… avete mai preso in braccio un agnellino? Che trema, appena nato? Esperienza bellissima. È commovente come si affida a te, così piccolo che ha ancora bisogno della madre e del pastore.

Ecco un Dio che non viene come il Leone o l’Aquila, ma come agnello; che non si impone, chiede di essere preso in braccio; che non può, non vuole far paura a nessuno.

Se hai paura, non è Dio.

Ecco l’agnello, uno dei piccoli del gregge, che riempivano di belati e di sangue il cortile del tempio.

Tanto sangue, e il sacerdote, coltello in mano, ne spruzzava qualche goccia su chi aveva portato l’animale, dicendo: per il perdono dei tuoi peccati.

L’agnello era il perno del sistema dei sacrifici di cui viveva, e bene, la casta sacerdotale al potere.

Chi è il mandante dell’uccisione dell’agnello di Dio, di Gesù? Chi è il mandante dell’omicidio?

Forse il Dio che sta nei cieli? Che ha deciso di non perdonare i peccati, ma di farli pagare e scontare fino all’ultimo centesimo?

Tristissima idea di Dio! Brutta immagine, immorale!

Come posso pensare che il rapporto con Dio sia baratto o mercato? L’uomo ha un debito con il Padrone del mondo, non ce la fa a pagarlo, e allora il Grande Contabile del cosmo se lo fa pagare in moneta di sangue, addirittura dal Figlio.

Per non uccidere tutti i figli, ne fa uccidere uno, come a una decimazione, di triste memoria…

Ma questo sarebbe fare strame della misericordia di Dio, fare mercimonio del suo amore.

Amore mercenario, che si paga, che si compra è negazione d’amore.

Il sommo sacerdote Caifa l’aveva detto ai suo: è meglio che uno solo muoia invece di tutto il popolo (Gv 18,14), come se fossimo in guerra, con un nemico più forte di te, poco importa che sia l’impero di Roma o il Dio del cielo. Dipingono un Dio nemico dell’uomo, da placare con sacrifici che non bastano mai. Che succhia energie preghiere riti paure, come una sorta di insaziabile sanguisuga celeste.

Tutto questo non è vangelo.

 

Gesù non è venuto a portare il perdono dei peccati, troppo poco (anche un uomo sa perdonare, non occorreva che Dio si incarnasse a Natale, non occorreva la croce per questo…);

è venuto a portare molto di più: è venuto a portare se stesso, la sua vita dentro la vita dell’uomo, il cuore dentro il cuore, respiro dentro il respiro, per sempre.

Dio ha guardato l’umanità e l’ha trovata smarrita, malata, sperduta: eravamo come agnellini in mezzo ai lupi.

E non l’ha più sopportato. E allora è venuto a cambiare la storia; invece di portare un giudizio di disgrazia, ha portato grazia e liberazione: uno che toglie il peccato: il santo tra i peccatori,

il puro tra gli impuri, il medico tra i malati, l’agnello fra i lupi,

il primo fra gli ultimi della fila, il cielo mescolato alla terra.

Nella disgrazia è possibile trovare grazia.

Ecco l’agnello, ecco l’amore di Dio mescolato a me, la grazia mischiata qui con noi, per togliere via il peccato del mondo.

Il peccato, al singolare, non i mille gesti sbagliati con cui continuamente laceriamo il tessuto di comunione del mondo, sfilacciamo la bellezza delle persone. Ma il peccato profondo,

la radice malata che inquina tutto.

In una parola: il disamore.

Che è indifferenza, violenza, menzogna, rifiuti, fratture, vite spente, amori criminali…

Gesù viene come il guaritore del disamore (cfr W. Fasser).

E lo fa non con minacce e castighi,

non da leone o da aquila, ma da agnello,

con quella che papa Francesco chiama “la rivoluzione della tenerezza”.

Ecco l’agnello, inerme e più forte di tutti gli Erodi della terra.

Una sfida a viso aperto alla violenza e alla sua logica,

guerra al disamore, che è la globalizzazione dell’indifferenza.

quando l’altro non conta, non mi interessa, non c’è, non me ne importa niente

Questa è la matrice, il grembo che partorisce tutto il male del mondo.

E Gesù a portare a seminare e curare e custodire la globalizzazione dell’attenzione, della cura verso ogni più piccolo figlio della terra.

Il mondo ci prova, ma non riesce,

la terra ha tentato, ma non ce la fa a fiorire secondo il sogno di Dio,

gli uomini non ce la fanno a vivere una vita buona e bella.

Allora Gesù viene come agnello:

porta la rivoluzione della tenerezza.

E lo fa mettendosi contro una terribile, terribilmente sbagliata idea di Dio. Sulla quale prosperava l’istituzione religiosa al potere. Gesù tocca le radici del potere, le taglia, le strappa, le capovolge, capovolge quell’asse che metteva in cima a tutto un Dio dal potere assoluto, compreso quello di volere la tua morte; e sotto di lui uomini di potere, che applicavano a loro volta questo potere ritenuto divino su altri uomini, più deboli, in una scala infinita, giù fino all’ultimo gradino.

L’agnello è un ‘no!’ gridato al ‘così stanno le cose’;

un ‘no!’ gridato forte in faccia al nostro ‘ così va il mondo‘,

dove ha ragione sempre il più forte…

Gesù è il racconto della tenerezza di Dio, porta la rivoluzione della tenerezza, a partire dagli ultimi, dai poveri, dai bambini, dalle donne, dai miti, dai costruttori di pace, da quelli che hanno il cuore puro.

E allora il potere, il disamore diventato potere, non l’ha più sopportato. E ha tolto di mezzo la voce pura, il sogno di Dio.

 

Ecco l’agnello che toglie il disamore.

Giovanni usa il verbo al tempo presente: che toglie il peccato,

non un verbo al futuro, nell’attesa che un giorno accada;

non un verbo al passato, come per una impresa finita,

ma al presente: Ecco Colui che instancabilmente, infallibilmente, infaticabilmente, giorno per giorno, continua a togliere via, a raschiare via, a portare via, adesso ancora, il male dell’uomo.

Cristo è all’opera, lavora adesso in me, dentro i miei sbagli, dentro le mie ferite. E in che modo?

Nello stesso modo in cui opera nella creazione.

Per vincere il buio della notte Dio incomincia a soffiare la luce del giorno;

per vincere il gelo accende il suo sole,

per vincere la steppa semina milioni di semi;

per vincere la zizzania del campo si prende cura della spiga;

per demolire la menzogna Lui passa libero, disarmato, amorevole fra le creature. E ci chiede di passare liberi, disarmati, amorevoli fra le persone. Come lui.

Noi siamo inviati al mondo come breccia, fessura, feritoia di una rivoluzione, quella della tenerezza e della bellezza di Dio, più forte della violenza e della morte.

Il nostro compito è provarci. Il resto non ci compete.

Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi…ma non per farvi sbranare. I lupi sono più numerosi, ma non sono più forti. Non vinceranno perché con noi c’è il pastore bello, il pastore grande, che ha vinto il mondo.

 

Vorrei sottrarmi, ma il mio compito è provarci,

con tante cadute e infinite riprese.

Mi basterebbe riuscire a indicare, di tanto in tanto,

una direzione, un pertugio, una fessura

da cui traspaia un barlume della bellezza e della tenerezza di Dio,

le due sole forze cose che salveranno,

che salvano, adesso, il mondo.