Fb 19 dicembre – IV di Avvento
E canta… (di p.Ermes Ronchi)
Nell’ultimo tratto di strada verso Natale ci fa da guida santa Maria, una ragazza gravida di Dio, una giovane donna che anche oggi è impaziente di partorire luce.
Origene di Alessandria afferma che l’immagine più bella del cristiano è quella di una donna incinta: non occorre che parli, è evidente a tutti ciò che le accade. E’ viva di due vite, battono in lei due cuori che non puoi separare. Porta in sé qualcosa di onnipotente.
Maria parte con una fretta che scavalca le montagne, e finalmente entra nella casa di Zaccaria, finalmente saluta Elisabetta. L’anziana, anche lei catturata dal miracolo, benedice la giovane: benedetta tu fra le donne, che, insieme, sono tutte benedette.
Il canto del magnificat non nasce nella solitudine, ma nell’abbraccio delle relazioni umane, che sono il sacramento di Dio quaggiù. E lontano dalle relazioni umane, non c’è infinito.
Mi stupisce che in Maria la visita di Dio abbia l’effetto di una musica, poiché la ragazza è la pioniera del Dio vicino a noi; è lei che per prima lo sente venire come un tuffo al cuore, un passo di danza a due, una stanchezza finita per sempre.
E m’incanta Dio, come una sottile forza dirompente che scardina la storia, che investe il mondo dei ricchi e lo capovolge, svuotando le loro mani che ora stringono solo aria, che investe la storia dei potenti e li rende uguali agli altri, senza troni, ritornati in sé, finalmente.
In questa che è l’unica scena del Vangelo dove protagoniste sono solo donne, è inscritta l’arte reciproca del dialogo.
Il primo passo: Maria, entrata nella casa, salutò Elisabetta. Entrare, varcare, fare passi per andare incontro alle persone. Non restarsene fuori ad aspettare gli eventi, ma diventare protagonisti, bussare, ricucire allontanamenti e strappi.
Il secondo passo: Elisabetta esclamò: benedetta tu fra le donne! Che bello se ogni prima parola tra noi fosse come il saluto a chi arriva da lontano e spera nell’accoglienza; e la seconda portasse, come Elisabetta, il “primato della benedizione”. Benedire è vedere Dio all’opera con il bene, la luce, è scorgere il grano che germoglia senza rivalità, nello stupore. Se non sappiamo benedire, la gioia non verrà.
Il terzo passo allarga orizzonti. Maria dice: l’anima mia magnifica il Signore. Il dialogo con il cielo si apre con il “primato dello stupore”. Maria si sente sollevare perché amata, e l’amore contiene sempre il senso del miracolo: ha sentito Dio venire come un fremito nel grembo, come un abbraccio con l’anziana, come danza di gioia di un bimbo di sei mesi. E canta.
E Gesù lo sente tutto, il suo canto. Lo beve, lo respira. “Cerco nel cuore le più belle parole per il mio Dio! Le più belle che so, le migliori che ho! L’anima danza per il mio amato”.
A Natale, anche noi sentiamoci visitati dal miracolo; come noi come lei ‘amati-per-sempre’.
Avvenire IV Avvento Luca 1,39-45.
Maria si mise in viaggio in fretta. Appena partito l’angelo, anche lei vola via da Nazaret. Il suo cammino sembra ricalcare a ritroso le orme che Gabriele ha lasciato nell’aria per giungere da lei: “gli innamorati volano” (s. Camilla Battista da Camerino).
Appena giunta in quella casa di profeti, Maria si comporta come Gabriele con lei: “entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”: angelo di un lieto annunzio, che il bimbo nel grembo della madre percepisce subito, con tutto se stesso, come una musica, un appello alla danza, una tristezza finita per sempre: “il bambino ha sussultato di gioia” . Il Santo non è più al tempio, è lì, nella carne di una donna, “dolce carne fatta cielo” (M. Marcolini). Nella danza dei grembi, nella carne di due donne, si intrecciano ora umanità e divinità. Nella bibbia, quando gli uomini sono fragili, o corrotti, o mancano del tutto, entrano in gioco le donne (R. Virgili).
Da Maria ed Elisabetta impariamo anche noi l’arte dell’incontro: la corsa di Maria è accolta da una benedizione. Un vento di benedizione dovrebbe aprire ogni dialogo che voglia essere creativo. A chi condivide con me strada e casa, a chi mi porta un mistero, a chi mi porta un abbraccio, a chi mi ha dato tanto nella vita, io ripeterò la prima parola di Elisabetta: che tu sia benedetto, Dio mi benedice con la tua presenza, possa Egli benedire te con la mia presenza
Benedetta tu fra le donne. Su tutte le donne si estende la benedizione, su tutte le figlie di Eva, su tutte le madri del mondo, su tutta l’umanità al femminile, su “tutti i frammenti di Maria seminati nel mondo e che hanno nome donna” (G. Vannucci).
E beata sei tu che hai creduto. Risuona la prima delle tante beatitudini dell’evangelo, e avvolge come un mantello di gioia la fede di Maria: la fede è acquisizione di bellezza del vivere, di un umile, mite e possente piacere di esistere e di fiorire, sotto il sole di Dio.
Elisabetta ha iniziato a battere il ritmo, e Maria intona la melodia, diventa un fiume di canto, di salmo, di danza. Le parole di Elisabetta provocano una esplosione di lode e di stupore: “magnificat”. I primi due profeti del nuovo testamento sono due madri con una vita nuova, che balza su dal grembo, e afferma: “ci sono!”. E da loro imparo che la fede e il cristianesimo sono questo: una presenza nella mia esistenza. Un abbraccio nella mia solitudine. Qualcuno che viene e mi consegna cose che neppure osavo pensare.
Natale è la convinzione santa che l’uomo ha Dio nel sangue; che dentro il battito umile e testardo del mio cuore palpita un altro cuore che – come nelle madri in attesa – batte appena sotto il mio. E lo sostiene. E non si spegne più.