XIII A – Fb 2 luglio ’23
Mt 10, 37-42
DUE ESTREMI DELLO STESSO CONCETTO
“Non è degno di me. Chi ama la famiglia più di me, non è degno di me”. Per tre volte rimbalza dalla pagina questa dura affermazione del Vangelo.
Ma allora chi è degno di te, mio Dio? Nessuno, perché tu ami per primo, ami in perdita, ami senza contraccambio. E io ne sono così lontano.
Tu parli delle persone a me più care, le più amate; e lo sai. Ma io so che tu non inneschi con noi una gara di emozioni o sentimenti, da cui ne usciremmo tutti perdenti. Dimmi: la tua pretesa totale, cosa cerca da me?
“Chi perde la propria vita, la trova”. Gioco verbale tra perdere e trovare, un paradosso vitale sulla bocca di Gesù. Perdere non significa lasciarsi sfuggire la vita o smarrirla, bensì perdere la vita attivamente. Come si fa con un dono. E non significa cercare il martirio: una vita si perde spendendola per una causa grande, e il vero dramma per tanti, oggi, è non avere niente e nessuno per cui valga la pena spendersi, perdere il cuore.
Perdere la vita non significa morire: una vita si perde in vista di una pienezza. Cadere in terra, come il chicco, ma per la fecondità. Padre e madre “amati di meno” e lasciati, sì, ma per un’altra esistenza più vasta, un cuore più spazioso. Per fare voto di vastità.
Chi non prende la propria croce. Non facciamo l’errore di identificare, di confondere la croce con la sofferenza; Gesù non sogna un corteo di crocifissi al suo seguito. Il termine Croce non indica il patibolo degli schiavi, ma riassume la vita di Gesù: andare con lui di casa in casa, di volto in volto, di accoglienza in accoglienza, toccando piaghe e spezzando pane.
Gesù cerca gente che sappia voler bene senza mezze misure, senza contare, fino in fondo, pagandone il prezzo. Tutto si paga sulla terra, solo l’amore si paga con l’amore, Allora la sua croce si veste di vita.
Chi avrà perduto, troverà. Noi possediamo veramente solo ciò che abbiamo donato, come la donna di Sunem, che nella Prima Lettura offre al profeta Eliseo piccole porzioni di vita: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada, per ricevere in cambio, senza saperlo, una vita intera, un figlio. E la capacità di amare di più.
A noi, forse spaventati dalle esigenze di Cristo, che abbiamo paura di seguire una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima e rassicurante: chi avrà dato anche solo un piccolo bicchiere d’acqua fresca, un fiore di campo, una carezza disinteressata, non perderà la sua ricompensa.
Il dare tutta la vita o anche solo una piccola cosa, la croce e il bicchiere d’acqua, sono i due estremi dello stesso movimento dettato dall’amore: dare qualcosa, un po’, tutto. Non c’è amore più grande che dare la vita! Anche poca, anche tutta.
31 Avvenire XIII
L’acqua migliore che ho
Chi ama la propria famiglia più di me, non è degno di me. Ma allora chi è degno di te, Signore, della tua altissima pretesa?
Padre madre fratello figlia… sono le persone a me più care, indispensabili per vivere davvero. Sono loro che ogni giorno mi spingono ad essere vero, autentico, a diventare il meglio di ciò che posso diventare.
Ma la sua non è una competizione di emozioni, da cui sa che non uscirebbe vincitore se non presso pochi eroi, o santi o profeti dal cuore in fiamme.
Eppure lo sappiamo che nessuno coincide con il cerchio della sua famiglia. Anche già per unirsi a colei che ama, l’uomo lascerà il padre e la madre!
Il vangelo, croce e pasqua, un’eternità di luce, non si spiegano interessandosi solo della famiglia, e neppure una storia di giustizia, un mondo in pace.
Bisogna rompere il piccolo perimetro e far entrare volti e nomi nel cerchio del proprio sangue, generare diversamente vita e futuro; staccarsi, perdere, spezzare l’eterna ripetizione di ciò che è già stato.
Chi avrà perduto, troverà. Perdere la vita, non significa farsi uccidere: una vita si perde solo come si perde un tesoro, donandola.
Noi possediamo, veramente, solo ciò che abbiamo donato ad altri. Come la donna di Sunem della prima lettura, che d’impulso dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada, e riceverà in cambio una vita intera, un figlio, insieme al coraggio del futuro.
Risento l’eco delle parole di Gesù: Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà. Gesù parla di una causa per cui vivere, che vale più della stessa vita. E Lui, che l’ha perduta per la causa dell’uomo, l’ha ritrovata.
Infatti il vero dramma dei viventi è non avere niente e nessuno per cui valga la pena mettere in gioco e spendere la propria vita.
E a noi, spaventati dall’impegno di dare vita e di seguire una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca non perderà il premio. Croce e acqua, il dare tutto e il dare quasi niente. I due estremi di uno stesso movimento, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo così evangelico: fresca! L’acqua, fresca dev’essere! Vale a dire procurata e conservata con cura, l’acqua migliore che hai, acqua affettuosa, bella, con dentro l’eco del cuore. La vita nell’acqua: stupenda pedagogia di Cristo, secondo cui non c’è nulla di troppo piccolo per chi vuol bene. Dove amare non equivale ad emozionarsi o a tremare per una creatura, ma si traduce con l’altro verbo sempre di corsa, semplice e concreto, fattivo, urgente di mani limpide e allegre come acqua fresca: il verbo dare.