VI di Pasqua Gv 15, 9-17

di p. Ermes Ronchi

Che vangelo, oggi! Che ruota tutto attorno ad una parola magica: amore. Per 9 volte in nove versetti ritorna questo vocabolario da innamorati: come il padre ha amato me, anch’io ho amato voi, rimanete nel mio amore. Per 9 volte anche nella seconda lettura! La divina monotonia di Giovanni.

Roba grossa. Questione di darsi la vita!

Rimanete, non andatevene via dall’amore. L’amore è reale come un luogo, un paese, una casa, ci puoi vivere dentro. Anzi, ci siamo già dentro, come un bimbo quando è ancora dentro il grembo della madre, e non la può vedere, ma ha mille segni della sua presenza che lo nutre, lo scalda, lo culla: “il nostro problema è che siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto” (P. Vannucci).

Ma oggi risuona la voce di qualcuno che ci rivendica: voi siete miei.

Qualcuno non ci molla, ci rivendica per sé: voi siete miei, e io sono per voi.

Delle poche cose certe che ho scoperto nella vita, una, la prima, è che amare è una cosa bella, che essere amati è una cosa bella.

E voi, con i vostri bambini in braccio, con il vostro uomo o la vostra donna vicini al punto che respirate la stessa aria, voi lo sapete con tutto voi stessi che è così.

E questi vostri bambini profumati di cielo che cosa sono? Dice il poeta: Sono il vostro amore diventato visibile.

Amore che riempie o svuota la vita, che là dove si era fermata la fa ripartire, che alle volte fa fare pazzie.

Tutta la bibbia inizia con un “sei amato” e termina con un “tu amerai”. Chi non vuole questo, ama il contrario della vita.

Io sento però che faccio fatica a realizzare, a concretizzare l’amore, è sempre così poco, così a rischio, così fragile. Faccio fatica anche a capire in che cosa consiste l’amore, vi si mescola tutto: passione, tenerezza, sessualità, emozioni, sentimenti, lacrime, paure, sorrisi.

L’amore è sempre meravigliosamente complicato, e sempre imperfetto, che vuol dire incompiuto. E perciò è amore artigianale, e come ogni lavoro artigianale chiede mani e tempo e cura.

Allora ecco arrivare Gesù, l’artigiano dell’amore, a dirci: vi spiego io come si fa ad amare.

E la prima cosa che dice: osservate i miei comandamenti. Ma come Signore, chiudi dentro i comandi l’unica cosa che non si può comandare? Mi fai cascare le braccia: il comandamento è regola, costrizione, sanzione. Un guinzaglio che mi strattona. L’amore invece deve essere libero.

Ma Gesù non è moralista, non si riferisce alle regoline.

Le persone, per una norma non cambieranno mai il cuore.

Una regola non cambierà il cuore di nessuno.

Attenzione al moralismo, che non è solo brutto, è inutile.

E allora spiega: questo è il comandamento, quello mio, non come quelli di Mosè, ma il solo, l’unico: che vi amiate come io ho amato voi.

Eccolo qui il maestro del cuore, l’artigiano guaritore dell’unico nostro peccato che è il disamore, con la sua pedagogia in due tempi:

  1. Amatevi gli uni gli altri. Non semplicemente: amate. Ma: gli uni gli altri, Non si ama l’umanità in generale. Si amano le persone ad una ad una, si ama quest’uomo, questa donna, questo bambino, questo povero, faccia a faccia, occhi negli occhi.

Nella reciprocità. Il fatto di amare qualcuno può bastare a riempire una vita, ma amare riamati riempie molte vite.

  1. E il secondo passo: amatevi come io vi ho amato. Non dice amate quanto me, non ci arriveremmo mai, io almeno non ce la faccio; ma amate come me, imparate dal mio stile, dal mio modo:

lui che lava i piedi ai grandi e abbraccia i bambini; che vede uno soffrire e prova un crampo nel ventre, un’unghiata sul cuore; lui che quando si commuove va vicino e tocca, tocca la carne, la pelle, gli occhi; che non manda via nessuno mai. In cerca dell’ultima pecora, combattivo contro i lupi, alle volte coraggioso come un eroe, alle volte tenero come un innamorato.

Lui che ci obbliga a diventare grandi, che accarezza e pettina le nostre ali perché pensiamo in grande e voliamo lontano.

Chi ti ama davvero? Non chi ti coccola e ti riempie di cose, ma ti ama davvero chi ti spinge, ti obbliga a diventare il meglio di ciò che puoi diventare. È la risposta di un grande dell’umanità, Rainer Maria Rilke.

Così voi, genitori, con i vostri figli: non date loro cose, date loro grandi orizzonti e grandi ali e incalzateli a diventare il meglio di ciò che possono diventare.

Anche quando sembra che si dimentichino di voi.

Ma poi ho un’altra obiezione: perché dovrei scegliere questa logica? La risposta è semplice, per essere nella gioia: questo vi dico perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

L’amore è da prendere sul serio, ne va del nostro benessere, della nostra gioia.

Dio, un Dio felice (“la mia gioia”), spende la sua pedagogia per tirar su non già figli ubbidienti, ma figli felici, che amino la vita con libero e forte cuore, e ne provino piacere, e ne gustino la grande bellezza, e godano di essa.

La gioia è un sintomo: ti assicura che stai camminando bene, che sei sulla via giusta, che la tua strada punta diritta verso il cuore caldo e vivo dell’esistenza.

La “gioia piena” , la felicità di questa vita in che cosa si misura se non nel dare e nel ricevere amore?

Poi Gesù aggiunge un secondo perché: se ami porti frutto. Forse non subito, ma il frutto che tarda verrà; magari non te ne accorgi, ma lo irradi intorno e qualcun altro lo riceverà da te.

Quali frutti dà un tralcio innestato su una pianta d’amore? Un vigore che monta, e poi pace, guarigione, liberazione, bellezza, giustizia: questi nostri frutti continueranno a germogliare sulla terra anche quando noi l’avremo lasciata.

Perché non va perduto nessun gesto d’amore,

non va perduta nessuna cura amorosa,

nessuna pazienza e nessuna generosità,

tutto questo circola attraverso le vene del mondo come una energia di vita.

Se ami, non sbagli.

Se ami, non fallisci la vita.

Se ami, la tua vita è stata un successo, comunque.