Nella settimana dall’11 al 16 giugno 2018 si è svolto ad UDINE presso la Casa dell’Immacolata il “Corso di sensibilizzazione all’approccio ecologico-sociale ai problemi alcolcorrelati e complessi (metodo Hudolin)” in collaborazione con le varie associazioni A.C.A.T. (Associazione Club Alcolisti in Trattamento) del Friuli Venezia-Giulia.

Nel corso cui hanno partecipato anche diverse figure professionali e coordinato dal dottor Francesco Piani e dal dottor Alberto Peressini, è stato chiesto di uscire dagli schemi che già i partecipanti possedevano per trattare il fenomeno “alcolismo” in maniera non giudicante e con apertura mentale.

I due direttori del corso hanno trattato e invitato dei colleghi a trattare argomenti quali: i danni dimostrati dell’alcol, i Club di alcolisti in trattamento, il funzionamento del centro alcologico territoriale-funzionale e delle scuole alcologiche territoriali, il disagio psichico, la dimensione spirituale e la dimensione corporea nei processi di trattamento.

I partecipanti hanno anche visto e ascoltato la testimonianza di alcuni frequentatori di gruppi per alcolisti in trattamento oltre a discutere di tutti gli argomenti in gruppo senza escludere anche la pratica della meditazione.


L’approccio ecologico-sociale, è stato sottolineato, venne elaborato dallo psichiatra croato Vladimir Hudolin il quale ha mostrato l’alcolismo e i problemi legati all’alcol come legati alle “difficoltà comunicative e relazionali all’interno della famiglia e di tutta la società”. 



Oltre a lavori di gruppo, al rilascio di un attestato, il corso prevedeva la stesura di un tema da parte di ogni partecipante. 

Qua sotto ho voluto condividere il mio:



 

ALCOL e SICUREZZA

di Daniele Casoni

 

 

“Il bello dell’alcol è che, per due ore, i tuoi problemi sono di altri”

 

Il tema di fondo di questo scritto riguarda gli argomenti trattati lungo il corso quali: il consumo, i danni, i riferimenti spirituali alla luce di una sostanza legale e consumabile senza divieti se non quello relativo alla guida specificando la ricerca di piacere e sicurezza e benessere e di come la presenza della sostanza alcolica sia presente tutti i giorni quasi come se sia presente una legge -implicita- (come a dire “l’alcol deve esserci”) del ruolo della cultura e dei modi cui può avvenire, qualora si volesse, il cambiamento culturale, del consumo di alcol inteso come esplorazione ed accettazione. Lo scritto si conclude con alcune considerazioni personali dell’autore.

In quel tempo Gesù disse: “non solo di pane vive l’uomo”, ma riguardo l’alcol neanche una parola. Dante mette il goloso bevitore Ciacco all’inferno: la sua condanna è però dovuta alla golosità e non all’abuso di alcol.

Il senso è chiaro: la tradizione non vede questa sostanza psicotropa quale negativa o da escludere. Sorge quindi, alla luce dei danni che sappiamo oggi, dell’estrema pericolosità relativa alla guida e dei danni al fegato e al sistema nervoso, qualche domanda: siamo forse tutti tanto masochisti?

Non percepiamo i pericoli?

Io penso che  l’accettazione sia più forte di altro. Intendo che anche nel sistema giovanile il “sentirsi accettati” sia spesso più forte dell’essere padroni del proprio sé e del poter dire “no”. La sensazione di pena derivante dal rifiuto, anche immaginato, del non essere stato in linea con la maggioranza genera quindi la ricerca di sicurezza. Inoltre l’alcol è legato anche al divertimento a volte come mezzo preferito.

Ma questo non è tutto: se la sperimentazione non è reato, la dipendenza è invece una fuga ed un tentativo di soluzione. “Perché l’animo si ravviva si ricrei a volte ci aiuterà un viaggio, un cambiamento di luogo, un pranzo, qualche bicchiere in più”  scrive Seneca,  “si può arrivare addirittura ad essere brilli, non per abbattersi ma per calmarsi: l’ebrezza infatti trascina via gli affanni, scuote il fondo del nostro animo, cancella la malinconia. Ma, come per la libertà, anche per il vino ci vuole moderazione. Certo non bisogna indulgervi spesso, perché l’animo non contragga una brutta abitudine; tuttavia ogni tanto è bene dar via alla gioia ed alla libertà e mettere da parte la severa sobrietà”. Ecco cosa ci ha insegnato l’alcol sia in negativo che in positivo: abbiamo bisogno di scuotere il nostro animo e vedere le cose da altri punti di vista.

Il nostro punto di vista, le nostre abitudini danno sicurezza. Anche il giudizio dà sicurezza. Ma abbiamo anche visto che possiamo sospendere il giudizio: allenamento che permette una autentica vicinanza tra gli esseri umani. È vero: ancora oggi abbiamo necessità di giudicare poiché permette di capire la realtà.

Tornando al bere, si beve per far fronte al disagio, si beve perché non è vietato, si beve per piacere, si beve per essere accettati, si beve per tradizione, si beve per cultura. Far passare il messaggio “non si deve bere” non funziona. Il cambio culturale può avvenire lasciando liberi tutti di poter consumare e non utilizzando metodi repressivi (riguardo l’alcol) ma impiegando una risorsa che ognuno di noi ha: il pensiero. Il pensiero può generare la realtà e uno che si può valutare è questo: se il bere dà piacere, è possibile che lo stesso piacere si generi anche pensando “posso anche non bere!”?

Rinnegare il piacere non è da umani, ridargli forma si. La nostra creatività anche di pensare è libera e rinnovabile. Certo il buddismo ce lo dice “questo non è altro che uno stato transitorio di sofferenza”. È importante saperlo ma altrettanto importante è poter trovare il piacere anche in altre modalità, anche mettendo in campo altri pensieri (come quello subito sopra).

È l’utilizzo del pensiero che ci rende protagonisti delle nostre scelte, padroni della nostra mente e dei nostri cuori, capaci di oltrepassare quei traguardi che trasmettono la voglia di vincere: vincere la dipendenza (obiettivo difficile ed a lungo termine) tra i più oggettivi.

In luce voglio mettere poi una frase che incontrai: la cultura è un potentissimo strumento di controllo. Siamo abituati a credere che la cultura, intesa anche come conoscenza, faccia bene alla mente e non solo. Ma è anche vero che se esiste l’alcol in quella zona al limite tra benessere e pericolosità e anche per dei riferimenti culturali, in primis la tradizione. Ma conoscere la cultura vuol dire anche questo: ognuno può rivedere e prendere i significati che attribuisce e che ha imparato ad attribuire alla realtà in modo sempre rinnovabile. “L’uso di alcol” non è in una teca da museo che non si può toccare; i nostri pensieri ed emozioni non sono delle gabbie: dalla cultura possiamo sempre prendere e ri-creare. Traducendo: si possono trovare alternative all’alcol forse prima nella nostra testa e condividendo le nostre emozioni in una ottica acritica e non giudicante. I benefici possono portare a un vero benessere che non si sfoga nel bicchiere ma nelle risorse di ognuno di noi e nella libertà che ci dà la natura di poter esprimere i nostri sentimenti.

Essere consapevoli non vuol dire “non bere” ma poter scegliere di non farlo! Mi sembra evidente che abituati a giudicare, il consumo sia stato non solo una ricerca edonistica ma una fuga dal disagio. Introdurre nuove modalità di pensiero, rimarcare la libertà di esprimere i sentimenti, sono possibilità presenti in ognuno di noi.

“La vita mi faceva semplicemente orrore. Ero terrorizzato da quello che bisognava fare solo per mangiare, dormire. Così restavo a letto a bere. Quando bevi il mondo è sempre là fuori che ti aspetta ma per un po’ almeno non ti prende alla gola”. Nel ‘900 così Bukowski racconta a cosa gli è servito bere: a trovare il fondo non solo del bicchiere e darsi il tempo di decidere chi essere. Ma l’alternativa all’alcol esiste e come detto parte dalla nostra testa e dalle relazioni (quella con noi stessi inclusa).

Ho poi sperimentato che ho più soddisfazione nella lucidità mentale che nello sballo. Essere padrone di me stesso vince sulla paura e vince su tutto. Provare l’emozione della paura si può; provare a essere padroni di sé stessi è quasi il senso che ha l’esistenza di ognuno di noi per vedere cosa si prova ad aprire le ali della libertà.