Fb 19 luglio

 

di Ermes Ronchi

La prospettiva di Dio

Questa parabola mi ha cambiato il volto di Dio, mi ha folgorato e lo amo infinitamente.

C’è un campo nel cuore dove sono avvinghiati il bene e il male: nessuno è solo zizzania, nessuno puro grano. Eppure dove i servi vedono solo erbacce, il Signore vede grano buono.

Vuoi che andiamo a togliere la zizzania? La risposta del signore del campo è perentoria: No! Rischiate di strappare via il grano.

Noi abbiamo sempre una violenta fretta di moralizzare e mettere a posto. L’uomo infantile in noi grida: strappa via da te, e soprattutto intorno a te, ciò che è puerile, fragile, difettoso. Ma il Signore dice: abbi pazienza, non avere fretta, perché tu non sei le tue debolezze, ma le tue maturazioni; non coincidi con i tuoi peccati, ma con le tue speciali potenzialità di bene.

Quanti difetti sono riuscito a sradicare in tutti questi anni? Neppure uno. Quindi la via è un’altra: agire come agisce Dio. Per vincere il buio della notte egli accende ogni giorno il suo mattino, e mi invita a saper distinguere, nel mio campo di buon grano assediato da erbacce, a vedere con coscienza chiara e sincera, ciò che di vitale e bello lui ha seminato in me.

Ciascuno di noi deve adottare su di sé questo sguardo positivo, solare, vitale. Perché il nostro spirito è capace di cose grandi solo se ha grandi passioni, grandi desideri. Addirittura la spiga futura, il bene possibile domani è più importante del peccato di ieri! Il male di una vita non revoca il bene compiuto, al contrario è il bene che revoca il male.

Preoccupiamoci quindi di avere un amore grande, un ideale forte, una dedizione profonda per ogni bontà, misericordia, accoglienza, libertà che Dio ci ha dato. Facciamo che esse erompano in tutta la loro bellezza e potenza, e vedremo le tenebre ritirarsi e la zizzania perdere terreno.

Dobbiamo davvero amare molto la nostra parte luminosa: viene da Dio!

Il nostro lavoro religioso è solo questo: far maturare il grano di cui nessuno è privo, perché la mano di Dio è viva. E liberiamoci da falsi esami di coscienza negativi! Vera introspezione è leggere la vita con sguardo divino che cerca non l’assenza di difetti, illusione inutile e spesso mortifera, ma la fecondità come ragione di vita.

Anche il giudizio finale avrà come argomento non il lato oscuro dell’esistenza, ma la parte migliore di noi, con il suo peso specifico di bene, che è superiore, che vale di più.

Ama i tuoi semi di vita, coltiva con infinita pazienza ogni tuo germoglio buono. Sii indulgente con tutte le creature, e anche con te stesso. Non nutrire il tuo peccato di ieri, lascialo andare, perché se non vedi luce dentro te, non la vedrai in nessuno.

Non siamo creati a immagine del Nemico e della sua notte, ma a immagine del Creatore e del suo giorno.

E’ questa la serena prospettiva di Dio. Che possa germogliare anche come nostra.

 

AVVENIRE XVI Matteo 13,24-30

Il bene e il male, buon seme ed erbe cattive si sono radicati nella mia zolla di terra: il mite padrone della vita e il nemico dell’uomo si disputano, in una contesa infinita, il mio cuore. E allora il Signore Gesù inventa una delle sue parabole più belle per guidarmi nel cammino interiore, con lo stile di Dio.

La mia prima reazione di fronte alle male erbe è sempre: vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania? L’istinto mi suggerisce di agire così: strappa via, sradica subito ciò che in te è puerile, sbagliato, immaturo. Strappa e starai bene e produrrai frutto.

Ma in me c’è anche uno sguardo consapevole e adulto, più sereno, seminato dal Dio dalla pazienza contadina: non strappare le erbacce, rischi di sradicare anche il buon grano. La tua maturità non dipende da grandi reazioni immediate, ma da grandi pensieri positivi, da grandi valori buoni.

Che cosa cerca in me il Signore? La presenza di quella profezia di pane che sono le spighe, e non l’assenza, irraggiungibile, di difetti o di problemi.

Ancora una volta il mite Signore delle coltivazioni abbraccia l’imperfezione del suo campo. Nel suo sguardo traspare la prospettiva serena di un Dio seminatore, che guarda non alla fragilità presente ma al buon grano futuro, anche solo possibile. Lo sguardo liberante di un Dio che ci fa coincidere non con i peccati, ma con bontà e grazia, pur se in frammenti, con generosità e bellezza, almeno in germogli. Io non sono i miei difetti, ma le mie maturazioni; non sono creato ad immagine del Nemico e della sua notte, ma a somiglianza del Padre e del suo pane buono.

Tutto il vangelo propone, come nostra atmosfera vitale, il respiro della fecondità, della fruttificazione generosa e paziente, di grappoli che maturano lentamente nel sole, di spighe che dolcemente si gonfiano di vita, e non un illusorio sistema di vita perfetta. Non siamo al mondo per essere immacolati, ma incamminati; non per essere perfetti, ma fecondi. Il bene è più importante del male, la luce conta più del buio, una spiga di buon grano vale più di tutta la zizzania del campo.

Questa la positività del vangelo. Che ci invita a liberarci dai falsi esami di coscienza negativi, dal quantificare ombre e fragilità. La nostra coscienza chiara, illuminata, sincera deve scoprire prima di tutto ciò che di vitale, bello, buono, promettente, la mano viva di Dio continua a seminare in noi, e poi curarlo e custodirlo come nostro Eden. Veneriamo le forze di bontà, di generosità, di tenerezza di accoglienza che Dio ci consegna. Facciamo che queste erompano in tutta la loro forza, in tutta la loro potenza e bellezza, e vedremo la zizzania scomparire, perché non troverà più terreno.