dal Messaggero Veneto del 30/03/03

In città manca un asilo notturno, una struttura che accolga le persone senza fissa dimora. Da alcuni anni sono stati chiusi i locali che aveva messo a disposizione l’amministrazione comunale, ma, adesso, la Caritas diocesana assieme al Comune sta mettendo a punto un progetto per dare un riparo a chi è senza casa. Il direttore della Caritas diocesana, don Luigi Gloazzo, spiega gli obiettivi futuri e dà un giudizio sull’erogazione dei servizi sanitari e assistenziali in città e in Friuli, ponendo l’accento sulle nuove povertà in relazione alla società che cambia.


Il direttore della Caritas, don Luigi Gloazzo, parla dell’emarginazione in città

«Costruiremo un asilo notturno per i più poveri»


Che giudizio dà della politica dei servizi sociali a Udine e in Friuli?
I servizi li vedo in rapida trasformazione, anche perché cambia la domanda della società. Per esempio, ci sono molte richieste soprattutto per quanto riguarda il disagio relativo alla malattia psichiatrica. Esiste una domanda di accoglienza che ancora non ci trova pronti e parte del peso assistenziale cade sulle famiglie, tenendo conto che la società si modifica e che i nuclei parentali non sono più quelli di un tempo. L’ospedale, ancora, sta cambiando rapidamente, e la situazione è di sofferenza perché i servizi sanitari assistenziali sono penalizzati dai bilanci.
Una risposta all’emergenza arriva anche dal volontariato. Qual è la situazione di quello friulano?

Il volontariato sta diventando sempre più anziano. E per i giovani, che sono ancora pochi, necessita un percorso di formazione. L’offerta di persone che si mettono a disposizione degli altri dovrebbe arrivare proprio dalla comunità, che però in questo momento manca di coesione. Per questo diventa difficile anche organizzare o mantenere una rete. Il volontariato è un po’ boccheggiante, ma quelli che si mettono al servizio degli altri sono bravi e purtroppo trovano difficoltà nel ricevere il ricambio. Vorrei, comunque, ringraziare tutti i volontari che operano e che dimostrano una particolare sensibilità.
Non si può dire però che le associazioni di volontari non siano numerose.

Le associazioni sono tante e distribuite in tutti gli ambiti, dai donatori di sangue ad altri tipi di aggregazioni. Ma ciò che emerge è un lavoro solitario, non sempre coordinato. Invece, questo dovrebbe essere l’obiettivo delle associazioni tra di loro, ma vedo una sorta di debolezza nei rapporti con le istituzioni, come nei confronti della Provincia e della Regione, mentre, invece, si dovrebbe trovare una forza, mantenendo un’unione. Dovremmo, per esempio, approfittare del Centro servizi per il volontariato che ha sede a Pordenone, ma che è al sostegno di tutte le quattro province. E poi c’è un mondo di volontariato sommerso, di chi non fa parte di alcuna associazione.
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