dal Messaggero Veneto del 5/12/02

Non si può più ignorare il ruolo delle badanti


La “sanatoria” prevista dalla legge Bossi-Fini costituisce la più imponente misura di emersione del lavoro nero svolto da lavoratori immigrati. Una gigantesca operazione di regolarizzazione che riguarda per una parte considerevole (circa il 40% delle istanze di sanatoria complessivamente registrate pari a 300 mila famiglie) la categoria delle colf e delle “badanti”.

È così venuto alla luce un fenomeno di dimensioni assai più ampie di quanto previsto dallo stesso Governo. Non ci voleva molto, in realtà, per rendersene conto: bastava consultare l’Istat, secondo cui sono almeno 750.000 le famiglie italiane con un anziano che ricorrono a un servizio domestico o di cura individuale (in pratica, una ogni dieci).

Metà di queste assumono, appunto, una badante, ovvero una persona adibita alla cura personale di un soggetto non autosufficiente. La stragrande maggioranza delle badanti, secondo l’Istat, è costituita da donne immigrate, e quasi tutte erano, prima della sanatoria, irregolari e clandestine. Un dato imbarazzante, se si pensa a quale sia l’immagine di “clandestino” veicolato da alcune forze al governo.

Ci voleva dunque la sanatoria per scoprire che l’attività delle badanti costituisce, dopo l’impegno diretto dei familiari, il servizio di welfare più utilizzato dalla popolazione non autosufficiente, a cominciare da quella anziana. Il ricorso ai servizi pubblici, in confronto all’assunzione di badanti, non solo è molto meno diffuso (non più della metà), ma è anche molto meno intenso (copre in media per cinque ore alla settimana), meno flessibile, anche se più affidabile sul piano professionale.

Le ragioni del boom. Solo pochi anni fa le badanti erano il pallido ricordo di un’epoca passata, in cui le famiglie facoltose assumevano e portavano in casa personale a pagamento per assolvere alle diverse mansioni di servizio. Che cosa ha determinato l’esplosione di oggi? Vi ha contribuito senz’altro la massiccia migrazione degli ultimi anni. L’incremento di offerta ha abbassato i prezzi, rendendola accessibile anche a famiglie di reddito medio e medio-alto.

Ma anche le politiche pubbliche hanno fatto la loro parte. Non solo perché non si è investito a sufficienza nei servizi pubblici a domicilio, per i quali restiamo da decenni il fanalino di coda dell&rrsquo;Europa. Ma anche perché da anni si insiste su programmi fondati esclusivamente sulla distribuzione di indennità e di sussidi monetari alle famiglie, lasciando che esse provvedano da sole a fornire le cure di cui gli anziani necessitano.
Un’erogazione monetaria attuata senza porre vincoli di sorta alle famiglie, senza un’attenta verifica delle loro capacità di cura, senza controlli sull’appropriatezza del suo utilizzo. Attuate per potenziare la libertà di scelta dei cittadini, esse (tra cui l’indennità di accompagnamento, che trasferisce ogni anno 500 miliardi di euro alle famiglie con invalidi al 100%) hanno finito per alimentare il mercato nero delle badanti, incentivandone la domanda da parte di famiglie impossibilitate a trovare altre soluzioni e non prevedendo alcuna forma di emersione.

Ci voleva proprio la sanatoria a far aprire gli occhi. D’ora in poi, non si potrà più ignorare il ruolo sociale ed economico delle badanti: il sostegno di cura più vicino e accessibile ai cittadini che perdono l’autosufficienza e non hanno familiari capaci o disponibili a prendersene cura.

Un vero successo? La grande quantità di richieste di regolarizzazione costituisce un successo della recente riforma? Indubbiamente si, se si considera che tali richieste spettano esclusivamente ai datori di lavoro e non ai lavoratori e che esse comportano per i primi un onere economico una tantum non indifferente (330 euro nel caso delle badanti) e un aumento considerevole del costo del lavoro rispetto all’assunzione in nero (stimabile tra il 35% e il 50%, comprensivo di contributi, ferie, tredicesima, liquidazione eccetera).

Sulla sua efficacia protratta nel tempo, tuttavia, non possiamo non nutrire forti dubbi: l’assenza di vincoli specifici e di controlli lascia supporre che una quota delle regolarizzazioni riguarderà stranieri che non svolgono di fatto attività domestiche o di cura; l’attività delle badanti è per sua natura a tempo determinato e soggetta facilmente a turn over, sia per la fluidità delle prestazioni richieste, sia per l’urgenza del bisogno che origina l’assunzione e la difficoltà di prevederne la continuità nel tempo; essa richiede dunque un’elevata mobilità dei lavoratori, che è possibile solo con procedure semplificate che prevedano tempi assai rapidi di assunzione; la complessità delle procedure previste per la regolarizzazione, nonché il blocco perentorio e totale delle regolarizzazioni per le badanti non ancora in regola, potranno incentivare in futuro il ritorno all’assunzione irregolare; la riforma scarica tutti i costi della regolarizzazione sulle famiglie che assumono le badanti, senza offrire in cambio alcun incentivo economico (in forma di deduzione fiscale, di minore contribuzione, di voucher, eccetera); perché un cittadino anziano dovrebbe assumersi un costo mediamente superiore del 35-50% per assicurarsi un’attività del tutto simile a quella che avrebbe attraverso un’assunzione irregolare?

È possibile che nell’immediato la pressione dei lavoratori e il timore di denunce abbia fatto propendere per la regolarizzazione. . Probabilmente il costo iniziale della regolarizzazione (i 330 euro) è stato assorbito in gran parte dai lavoratori. Cosa accadrà quando la prevedibile difficoltà di operare controlli renderà meno forte il timore?

Mossa da obiettivi di contenimento e di legalizzazione dell’immigrazione clandestina, la regolarizzazione prevista dalla riforma determinerà senz’altro un miglioramento delle condizioni di lavoro delle badanti, che godranno ora di maggiore legittimità e di più chiari diritti. Diritti, tuttavia, che dipenderanno in parte dalla disponibilità delle famiglie italiane a sobbarcarsi costi e procedure amministrative altrimenti facilmente eludibili, in parte dalla possibilità per i lavoratori stranieri di subire, al fine di coprire il costo della regolarizzazione, una riduzione del loro salario.

Che in circa 300.000 casi le famiglie italiane e/o le colf e le badanti che vi prestano servizio abbiano deciso di assumersi questo onere costituisce un indubbio atto di civiltà, che dovrà essere però sostenuto in futuro da politiche capaci di offrire un sostegno economico e una maggiore regolazione, e non solo una mera regolarizzazione, del lavoro di cura delle badanti.

Docente di politica sociale al politecnico di Milano
(tratto da http://www.Lavoce.info)
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IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
UNA SANATORIA CHIAMA L’ALTRA

di TITO BOERI

Passerà alla storia come “la grande sanatoria del 2002”. Ed è un dramma, quello dell’immigrazione clandestina, di cui proprio non ci si può dimenticare: troppo spesso capita di leggere di navi di disperati alla deriva al largo delle nostre coste. Eppure, della sanatoria degli immigrati appena conclusa si sente poco parlare. Quasi ci si vergognasse di averla fatta.

Ma non deve passare in silenzio, perché sono molte le lezioni da trarre. Riguardano il valore dell’immigrazione per il nostro paese, le ipocrisie della politica e cosa bisognerebbe fare per evitare di dover varare una nuova sanatoria di qui a breve.

Erano in molti, tra le file dello stesso governo, a pensare che la sanatoria avrebbe coinvolto circa 200.000 persone, come nel 1998. Invece quella che si profila all’orizzonte è la più grande sanatoria mai attuata nel vecchio continente, comparabile, con le dovute proporzioni, solo alla mega-amnistia del 1986 negli Stati Uniti. Quasi 700.000 le persone di cui si chiede la regolarizzazione, poco meno del 3 per cento della nostra forza lavoro. I cittadini italiani per la sanatoria hanno versato volontariamente nelle casse dell’Inps circa 350 milioni di euro, un sesto del gettito dell’eurotassa che era servita per entrare nell’euro.

Presumibilmente, molti avrebbero fatto domanda pagando di più, anche molto di più. Quei 700 miliardi di vecchie lire versati sono, dunque, solo un limite inferiore del valore economico del trattenere queste persone in Italia. Non possiamo fare a meno degli immigrati perché essi tengono insieme un mercato del lavoro altrimenti spaccato a metà, l’una senza lavoratori, l’altra senza lavori.

Il 95% degli immigrati risiede nei mercati del lavoro dinamici del Centro-Nord, da cui, non a caso, provengono 4 su 5 domande di regolarizzazione. Nella sola Lombardia sono state depositate più domande che nell’intero Mezzogiorno. Senza questa manodopera mobile, pronta a rispondere al richiamo dei posti vacanti, i costi del nostro dualismo – in termini di mancata crescita e inflazione – sarebbero molto più alti. Gli immigrati, inoltre, tappano alcuni dei buchi del nostro sistema di protezione sociale: è proprio dalla mancanza di servizi per i non autosufficienti che nasce quella domanda di badanti.

La sanatoria testimonia, una volta di più, le ipocrisie su cui si reggono le politiche dell’immigrazione. Sembrano fatte solo per non essere applicate. Si fa credere agli elettori che sia possibile chiudere le frontiere, sapendo bene che più forti sono le restrizioni ai flussi più ampia è la sanatoria che, prima o poi, dovrà regolarizzare ex post chi è entrato comunque, a dispetto dei divieti.

Nonostante il rallentamento congiunturale, quest’anno si è invertita la tendenza alla riduzione degli sbarchi clandestini, proprio mentre venivano ridotte le quote di immigrati ammessi regolarmente. In ciascuno degli ultimi cinque anni abbiamo avuto circa 100.000 nuovi arrivi tra flussi programmati e sbarchi: quando diminuivano i primi, salivano i secondi, quasi a compensarne la mancanza. Ora si dice che questa sanatoria sarà davvero l’ultima. Ma c’è qualcuno disposto a crederci davvero?

Per smaltire le pratiche della sanatoria, per decidere chi regolarizzare e chi no ci vorrà come minimo un anno, come massimo – basta moltiplicare per tre i tempi dell’ultima sanatoria che aveva coinvolto un terzo di individui – quattro anni e mezzo. Dati i tassi di turnover cui sono soggetti i lavori degli immigrati molti dovranno cambiare lavoro prima ancora di essere regolarizzati.

Quindi la domanda di regolarizzazione sarà per molti solo l’anticamera di un nuovo impiego irregolare. Già oggi circa due terzi dei lavori irregolari di stranieri sono appannaggio di immigrati regolarmente residenti in Italia. E con le complesse procedure introdotte dalla legge Bossi-Fini per gli immigrati che cambiano lavoro c’è da scommettere che l’occupazione irregolare di immigrati tenderà ad aumentare.
I controlli sui posti di lavoro volti a scoraggiare l’impiego irregolare di immigrati, assieme all’intensificazione degli scambi commerciali con i paesi di origine degli immigrati, sono gli unici strumenti efficaci per contrastare l’immigrazione irregolare, come insegna la pluridecennale esperienza statunitense.

Ma i controlli sui posti di lavoro non vengono fatti. Secondo le stime della Caritas su dati degli Ispettorati del lavoro e dei carabinieri, ogni anno vengono ispezionate non più di 25.000 imprese, circa 1 su 200. Peccato perché, in media, tra le aziende ispezionate solo tra il 20-30 per cento degli stranieri impiegati viene trovato in regola.Al tempo stesso, il Ministro dell’Economia, colui che più di tutti nel Governo dovrebbe capire che chiusura degli scambi commerciali significa più immigrazione, si erge a paladino del protezionismo nei confronti dei “paesi che non impongono ai produttori i doveri sociali”, gli stessi paesi da cui provengono le navi dei clandestini.

Le sanatorie servono solo se preludono a rotture, a cambiamenti nelle politiche rispetto al passato. Tutto invece lascia presumere che, dopo la “grande sanatoria del 2002”, il nostro governo ci stia solo preparando ad una nuova sanatoria. Il vero quesito è quando e come avverrà.
Tratto da http://www.lavoce.info
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