Non so se ci rendiamo conto della carenza di gratitudine che intossica il nostro modo di vivere oggi.
“Gratitudine”, secondo lo Zingarelli, è un sentimento di affetto e di riconoscenza per un bene ricevuto.
Essa traspare soprattutto nelle cosiddette “piccole cose” della vita quotidiana. E’ piuttosto un atteggiamento e si manifesta in tanti modi, dal “grazie”, al saluto, alla “disponibilità” alla riconoscenza attiva.

Essa dovrebbe sgorgare spontaneamente innanzittutto nel contesto famigliare. Chi non è grato con i propri familiari, difficilmente lo potrà essere con tutti gli altri. Si impara ad essere grati, fin da bambini. Grati verso i genitori, verso i parenti, verso il coniuge in infiniti modi, come il nostro cuore ci suggerisce. Ogni fanciullo dovrebbe essere avviato a questo nobile sentimento nella riflessione, nell’operosità, nella collaborazione in famiglia e scuola. Non dimentichiamo che essa si trasmette per contagio. Se il bimbo o l’adolescente nota in noi qualche sprazzo di umile gratitudine, subito ne viene edificato. Nell’orgoglio, però, essa si dilegua.

Quando si scade nella mentalità dei “diritti acquisiti”, però , allora tutto ci è dovuto e la riconoscenza viene anestetizzata.
Ma la gratitudine può scaturire solo da profonde riflessioni su quello che siamo e su ciò che sono gli altri per noi. Prendere coscienza che da quando siamo nati sono molto di più le cose che abbiamo ricevuto di quelle che abbiamo dato è essenziale, anche se appare scontato. La convinzione che meritiamo più di quanto ci è dato può farci apparire vuoto il nostro piatto, che pure è pieno di cibo

In effetti la gratitudine perfetta non dà niente per scontato.
John Merrick, il protagonista del film “l’Uomo Elefante” sin da bambino viene colpito da un male che lo faceva apparire un mostro, maltrattato ed esibito come un fenomeno, si rivela, invece, un vero “gentleman” quando qualcuno si occupa di lui, soprattutto attraverso la riconoscenza. Gradualmente la mostruosità esterna si affievolisce agli occhi dello spettatore sensibile, per dar posto alla bellezza nascosta della sua nobiltà d’animo.
La riconoscenza, quindi, esprime la nobiltà d’animo dell’uomo e non per niente don Bosco sosteneva che genera tutte le altre virtù.

Siamo impegnati più ad enumerare le cose che ci sembrano importanti e necessarie, che a quelle che già abbiamo e che non valorizziamo. Eppure nella vita quotidiana incontriamo spesso persone cieche, sorde, storpie, paralitiche, prive di arti, di salute fisica e mentale, anziane, miserabili che, inconsciamente, dovrebbero richiamarci la preziosità dei doni che abbiamo e che costituiscono una ricchezza che spesso non viene messa a disposizione degli altri come realmente dovrebbe.

Riceviamo sempre di più di quello che doniamo. Eppure l’indifferenza domina sovrana in gran parte della nostra vita. Non ci rendiamo conto del dono dell’esistenza, del respiro, del battito cardiaco, della salute, della posizione economica, di un’abitazione. A livello sociale l’ingratitudine regna sovrana : sul posto di lavoro, nelle istituzioni pubbliche e private, nelle comunità di tutti i tipi. Moltissimi vantano solo diritti, ma pochi doveri.

Se tutti coltivassimo il senso della gratitudine sin da giovanissimi e aiutassimo gli altri a sensibilizzarsi, la vita terrena sarebbe veramente diversa: si difonderebbero la gioia interiore, la gratificazione, il rispetto per gli altri, per l’ambiente, per la vita stessa.

Ma non è così, purtroppo. Le guerre, la violenza, il razzismo, l’orgoglio prevaricatore, l’arroganza e l’egoismo sono quasi sempre il frutto dell’ingratitudine.
La gratitudine è davvero l’inizio della grandezza per ognuno di noi.

Pier Angelo Piai