I testi� che vengono presentati sono la trascrizione parziale di un corso di esercizi spirituali tenuto da p. David a un gruppo di suoi confratelli (Pietralba, BZ, 1991) a pochi mesi dalla sua morte (6.2.1992).
E’ il pertugio che rimane aperto sulla sua tomba, come aveva chiesto a Dio nel commento al salmo 8:
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Lasciami anche dalla tomba un pertugio,
che io possa ancora vedere
il sole che sorge
una nuvola d’oro
Espero che riluce la sera
In un limpido cielo

Un pertugio che continua a rimanere aperto attraverso la pubblicazione delle sue meditazioni perché possa ancora cantare e vedere la luce. E questo nonostante ogni contrarietà, proveniente anche dai suoi frati: quando lesse questa poesia agli amici, com’era solito fare, subito un frate della sua comunità disse: No, per carità, lasciaci in pace almeno da morto!

Il frate era preoccupato della testimonianza ingombrante di p. David sin da allora. E se lo era da vivo, qualcuno ha temuto che continuasse a esserlo anche da morto. Così non è stato accolto l’invito dei suoi amici più cari, Beppe Rocco e mons. Ravasi, che sin dalle prime settimane dalla morte di p. David hanno suggerito ai Servi di Maria di istituire una “fondazione Turoldo” il cui scopo avrebbe dovuto essere di raccogliere, custodire, catalogare, diffondere tutti gli inediti, specialmente audio e video, sparsi presso innumerevoli amici e istituzioni da lui frequentate.

Certo Turoldo rimane una delle figure più vive della chiesa italiana della seconda metà del secolo scorso anche senza la fondazione Turoldo, come rimane ugualmente ‘ingombrante’, anche se i suoi frati, anziché esaltarne la figura, hanno cercato di smorzarne la forza e limitarne lo spirito.� Con il rischio che anche le celebrazioni dove si sarebbe dovuto ricordare Turoldo sono magari diventate semplici esibizioni per presentare se stessi anziché l’opera e il significato di p. David. La battuta che è stata coniata per queste occasioni è che ci sono persone che quando parlano di Dio si dimenticano della ‘d’.

Ma Turoldo si lasciava ‘usare’ e strumentalizzare anche in vita. Sapeva, e comunque glielo dicevamo, eppure lasciava correre, anzi diceva che era inevitabile. Turoldo rimane ingombrante anche per costoro: faranno certamente fatica a usarlo come bandiera contro la chiesa o contro qualche vescovo, difficilmente potranno privarlo della passione per la Parola di Dio e per l’uomo, difficilmente potranno farlo sembrare debole o infedele.

Così da quel pertugio lui continuerà ad uscire ogni tanto con la sua voce e il canto, a dirci con forza critica, la strada da percorrere.
Dei testi che presentiamo sottolineerò alcuni punti e temi, quelli che mi sembrano essere stati i più costanti e ricorrenti nella sua vita.

. Continuiamo
La continuità è stata una delle sue battaglie, di sempre. Battaglia per la sua vocazione; battaglia perché la Parola di Dio venisse studiata, pregata, cantata; battaglia perché la chiesa fosse più bella di ogni speranza; battaglia per l’uomo, specie se privato della dignità e della libertà.

Per questo dice: “avere il senso della continuità è avere il senso della vita la continuità è una delle ragioni che dobbiamo conquistare nella nostra formazione spirituale”.
Ripeteva spesso che non si costruisce nulla senza continuità, che la continuità è parte integrante della fedeltà, che bisogna rispondere sempre all’attrazione di Dio, al magnetismo di Dio.

I salmi
Tradurre in un italiano moderno, e per di più in metrica, è stato uno degli impegni dove Turoldo ha profuso tanta energia, fantasia e passione. Chissà cosa dirà ora tornando dal pertugio e vedendo che il card. Ratzinger ora è diventato Papa Benedetto XVI°, lui che teneva sul comodino la traduzione dei salmi di Turoldo e che a detta di mons. Ravasi diceva: “finalmente un libro con cui riesco a pregare anch’io”.

E lui pensava a quando il Santo Uffizio, così come si chiamava una volta la Congregazione della Fede, lo teneva d’occhio per le sue posizioni teologiche e politiche. Non avrebbe immaginato che non solo era riuscito a far pregare un uomo del sant’Uffizio, ma quell’uomo poi sarebbe diventato Papa.

Lectio Divina
Dice che è dal 1942 che ha incominciato a capire l’importanza della Lectio Divina, e che anche per lui, come per il Beato Giovannangelo Porro, dei Servi di Maria, morto a Milano nel 1505, la lectio divina è il centro della vita, il centro del monastero e della vita comunitaria.

In effetti fino alla fine della sua vita ha continuato a celebrare la lectio divina. A Milano, negli ultimi anni della sua vita (1988-1992), chiamato dalla comunità a ritornare alla predicazione nella “sua” chiesa di san Carlo al Corso, ha tenuto regolarmente la Lectio divina nei periodi di avvento e di quaresima. Anzi, richiesto di tenerla in Basilica anziché nel salone, sia per l’affluenza numerosa che per rendere più evidente che si trattava di un momento di intensa preghiera, ha accolto il mio invito di tenerla vestendo l’abito dei Servi. E si preparava con impegno, riprendendo testi e studi che lo avevano visto già in passato studioso attento e fine.

Così come continuava a prepararsi per le prediche. Aveva un modo tutto suo di appuntare su un foglio le idee e le argomentazioni per la predica, in genere un foglio scritto a mano, con sottolineature diverse e collocazioni precise. Non scriveva mai interamente il testo della Lectio o di una omelia, non sarebbe stato capace di rimanere al testo perché aveva bisogno di guardare negli occhi i suoi ascoltatori.

Partiva sempre dalla preghiera, era la “lezione da tenere presente tutta la vita”, una preghiera che è vita, storia dell’uomo, che è trasfigurazione, il segno della visibilità di Dio. Una preghiera che tocca e affronta tutte le problematiche dell’uomo, in vista della trasfigurazione finale, quella della risurrezione,
per questo dice:
Mai tanta vita e tanta morte come oggi
Mai tanta scienza e tanta ignoranza come oggi
Mai tanta ricchezza e tanta miseria come oggi
Mai tanta potenza e tanta debolezza come oggi
Mai tanta organizzazione e tanta solitudine come oggi
Mai tanti divertimenti e tanta disperazione …

Dubbi e certezze

Ma allo stesso tempo dice: mai tanto bisogno di Dio come oggi, con la necessità di modellare gli uomini sul Vangelo e non il Vangelo sugli uomini. La tentazione di sempre, la tentazione sulla quale Turoldo misura i suoi dubbi e le sue certezze.
Il dubbio fondamentale che esprime sempre è: in quale Dio crediamo?

La Vergine e l’Eucarestia
E lui risponde: “noi abbiamo due cose veramente importanti: la Vergine e l’Eucarestia. E questa chiesa invece che è una chiesa di stracci, sotto i quali Dio è sepolto. Voi, fate quello che volete; io vado avanti per la mia strada ci sono quelli che mangiano e quelli che vengono mangiati. Questo è l’ideale: l’ideale di san Francesco o di Oscar Romero”.
Turoldo è stato veramente un grande “servo di Maria” e un grande “cantore” della Vergine Maria, della Vergine che continua a generare figli a Dio:
Vergine, natura sacra,
piena di bellezza,
tu sei l’isola della speranza.

Vergine, radice e pianta
Sempre verde,
colomba dello Spirito nuovo.

Arca della vera alleanza,
tra uomo e natur
a, ritorna,
caravella che porti il Signore
sotto la vela bianca.

E un grande cantore e servo dell’Eucarestia, considerato come il momento creatore e fondante la stessa comunità cristiana: “Non si può fare comunità senza eucaristia. Per questo l’eucarestia sta al centro di tutto il culto e di tutto l’universo L’ Eucaristia è come l’anima per il corpo fin quando non vive un’autentica eucaristia, la chiesa non è vera. Priva dell’ eucarestia, la chiesa è senza vita”.

Per questa dava importanza massima all’eucarestia, specie domenicale. Le sue celebrazioni erano famose non solo per la predica, certo importante, ma anche per il modo e il clima della preghiera stessa. Celebrazioni vive e vibranti, partecipate con tutto l’essere, spirito anima e corpo, tese verso il cielo e aperte e in comunione con tutto il mondo.
Senza devozionismi: “basta, finitela! Smettetela con tutti questi devozionismi!”, ma con una grande passione nella ricerca della purezza della fede.

E mentre da un lato mi diceva, vedendomi in confessionale in attesa di penitenti nella Basilica di san Carlo: “bisogna ripensare la confessione!”, dall’altro, nelle ultime settimane prima di essere ricoverato per l’ultima volta alla clinica Pio X, l’ho visto spesso camminare avanti e indietro per il corridoio del convento di san Carlo con la corona del rosario nelle mani intrecciate dietro la schiena. La tradizione e l’innovazione che camminavano insieme, d’altronde lui dice di sé: sono un tradizionalista. Ed era vero, un tradizionalista che guardava avanti senza perdere nulla dei valori del passato.

p. Cristiano Cavedon

Udine, 28 marzo 2006