dal Messaggero Veneto dell’8/07/2002

Caro professore,

in una di quelle discussioni che spesso capitano tra amici ci siamo trovati a questionare sulla definizione di intelligenza, o meglio ancora su quel che significhi veramente essere intelligente. Tutti quanti, d’acchito, sanno benissimo che cosa sia l’intelligenza, ma quando ci siamo provati a darne una definizione abbiamo avuto le nostre difficoltà: chi sosteneva una cosa, chi l’altra, chi poneva l’accento su certe caratteristiche, chi non le considerava. Insomma, pur essendo tutti d’accordo sul concetto in sé, non ne è venuta fuori una definizione su cui tutti concordassero. Ci può dare una mano in proposito?

Gianni e un gruppo di amici – Udine


Non preoccupatevi troppo per quanto vi è capitato: nei millenni, filosofi, pensatori, scienziati e geni assortiti si sono posti la medesima domanda e nessuno, per ora, ha dato la definizione finale.

Si va dall’«uso produttivo del pensiero» alla «capacità di adattare il proprio comportamento di fronte a situazioni nuove», alla «risoluzione di problemi con l’aiuto del pensiero», alla «ristrutturazione dei dati o delle percezioni in modo logico-analitico ma anche sintetico, intuitivo e creativo» e via elencando. Van bene tutte, ma nessuna spiega completamente tutto.

L’intelligenza, infatti, è un insieme di capacità, queste sì unanimemente riconosciute, che sono il possesso di una buona disposizione a memorizzare e ad apprendere, l’abilità nel risolvere problemi, l’attitudine a capire in fretta, l’invenzione di nuove strategie di fronte a una nuova situazione eccetera.

È vero che tutto ciò è elemento necessario e costitutivo dell’intelligenza, ma è altrettanto vero che questa è una funzione distinta da ciascuna di tali parti prese una per una.
Tanto per capirci meglio, possedere una sola di tali capacità (la memoria, per esempio) può sussistere anche in persone di modesta intelligenza.

Oggi, piuttosto che dare definizioni astratte e non valutabili in modo preciso, si tende a darne una di tipo empirico, cioè legata a verifiche e misurazioni oggettive, attraverso reattivi mentali (test) opportunamente studiati e “tarati”. Con dei limiti, si capisce, ma con ottime approssimazioni.
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