17° Capitolo

“Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.”(Mt.16,24)

Molte sono le domande che vorremmo porre al nostro Creatore, ma la principale è comune a tutti: perché la sofferenza? Non poteva crearci con un certo grado di perfezione, privi di ogni necessità corporale? La teologia spiega che la corruzione e la morte sono subentrati per invidia del diavolo e per la caduta di Adamo ed Eva. Come può soddisfarci una simile risposta ?

Perché dobbiamo scontare una colpa di cui noi non ne avevamo nemmeno coscienza dal momento in cui ci concepì nostra madre? Perché ci creò così fragili e ci pose su un mondo così tentatore? Perché ci lascia nella paura e nello spavento di fronte ad un mistero così impenetrabile qual è la sua esistenza nei confronti della nostra?

Egli che può tutto ci ha lanciato in un mondo pieno di sofferenze, paure e dolori, con qualche gioia.”L’uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma”(Gb.14,1)
Qual’è il motivo di tutto questo? Ci sono dei momenti in cui non si vorrebbe mai essere nati.

Lo stesso Giobbe, uomo giusto, esclamò : Perisca il giorno in cui nacqui…Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha l’amarezza nel cuore, a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro, che godono alla vista di un tumulo, gioiscono se possono trovare una tomba…a un uomo la cui via è nascosta e che Dio da ogni parte ha sbarrato? Così, al posto del cibo entra il mio gemito, e i miei ruggiti sgorgano come acqua, perché ciò che temo mi accade e quel che mi spaventa mi raggiunge. Non ho tranquillità, non ho requie, non ho riposo e viene il tormento.

Ma egli era un uomo giusto: noi, invece, non abbiamo nemmeno la consolazione di sentirci giusti…
Altri interrogativi si affacciano alla nostra mente disorientata: ma Lui, dal quale tutto ha origine, ha faticato a creare? La teologia tradizionale ci insegna che in Lui non può esserci ombra di imperfezione. Il dolore e la fatica appartengono alle imperfezioni degli esseri ancora in evoluzione, quindi Dio non può “evolversi” perché è già perfetto in sè ed è l’origine di ogni perfezione. Da qui possiamo dedurre che ha creato l’Universo e noi senza alcuna fatica o dolore.

Anzi, durante l’atto creativo era nel più completo piacere: Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. (Gen. 1,31) Questo versetto biblico ci permette obiettivamente di intuire che Dio ama la vita ed esulta di gioia per essa. Ed allora perché permette tanta fatica e tanto dolore? Ci è stato insegnato che la risposta è in Gesù Cristo, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte. “Chi vede me vede il Padre”. Si è incarnato nel Figlio e ciò che vediamo nel Figlio, è nel Padre. I Vangeli ce lo presentano come una lode vivente del Padre, al quale si sottomette fino alla passione ed alla morte in croce. Questo ci dimostra, allora, che Dio non è cinicamente staccato dalla sua creazione.

Vi si “immerge” tramite il Figlio, della stessa sua natura. E lo fa per riportare la creazione allo splendore iniziale, dopo il decadimento dovuto al peccato, che è la mancanza d’amore dell’uomo. L’uomo ha voluto allontanarsi da Dio e Dio lo “ridivinizza” tramite un estremo atto d’amore, quale l’incarnazione, la passione e la morte in croce.

Anche un buon padre terreno richiama vagamente l’opera divina. Il padre concepisce il figlio in un atto d’amore accompagnato dal piacere insito nello stesso atto. Poi segue la creatura durante la sua evoluzione, partecipa di persona allo sforzo che deve fare per arrivare alla maturazione…
Dio-Padre crea nella gioia e partecipa di persona allo sforzo della sua creatura che dovrà raggiungere la statura di Gesù Cristo. Non l’abbandona a se stessa: semplicemente le indica la via maestra, che è quella dell’amore, che la stessa croce sottende. In Gesù Cristo misericordioso sono celati i segreti amorosi del Padre che vengono gradualmente svelati dallo Spirito Santo.

In Lui ogni attimo della nostra vita è pienamente partecipato: l’immane sforzo della tremenda passione riassume, sintetizza e ricapitola ogni più piccola sofferenza di tutti gli uomini che sono esistiti, esistono ed esisteranno.
Non vale, allora, la pena di partecipare anche noi a questo incredibile e misterioso sforzo della Creazione?

I più cinici diranno: ma chi glielo ha fatto fare?
Abbiate pazienza e riflettete profondamente sulla tua esistenza, destinata ad una gloria che ora non potete immaginare e che è rappresentata dalla Risurrezione di Gesù Cristo…
Scriveva Camus: “Se c’é un’anima, è un errore credere che ci sia data già interamente creata. Si crea qui, lungo la vita. E vivere non è altro che questo lungo e torturante parto. Quando l’anima è pronta, creata da noi e dal dolore, ecco la morte”.

C’è anche il dolore causato dalla consapevolezza della nostra fragilità. Ci sono vizi e difetti che desideriamo vincere e invece spesso soccombiamo sotto di essi. Sembra quasi che una forza superiore alla stessa nostra volontà impedisca la nostra crescita umana e spirituale. Questo tipo di umiliazione è tra le più dolorose perché ci fa temere sulla nostra stessa salvezza eterna. L’animo smarrito non sa nemmeno come, quando e dove agire. Si sente profondamente indegno di trattare con le cose divine e non osa alzare lo sguardo.

Avverte che molte sue azioni sono impregnate di vanità e ciononostante deve agire.
“Bene e male, vita e morte, povertà e ricchezza, tutto proviene dal Signore.” (Sir.11,14) Se Dio ha permesso il male e la sofferenza, c’è un motivo! “Non è sanità in coloro a cui qualcosa dispiace della tua creazione” ” e cercai che cosa fosse l’iniquità e trovai che non è una sostanza, sì, piuttosto, un pervertimento della volontà che si torce da te, Dio, sostanza somma, verso le cose infime, e fa getto delle proprie viscere e si gonfia al di fuori.”(S.Agostino, Le confessioni, p.118)

E’ faticoso scalare un’impervia montagna. In una scalata libera si sfruttano soltanto gli appigli naturali offerti dalla parete. Il rischio della caduta è sempre presente. Le sporgenze sono a volte scomode e taglienti mentre qualsiasi sguardo al vuoto sottostante genera pericolose vertigini. E’ difficile intravedere la cima nascosta tra dense nubi: eppure c’è e bisogna ascendere faticosamente. Una volta saliti, seduti su una roccia, si osserva con grande soddisfazione il bellissimo panorama e si gode il maestoso silenzio di quelle altezze.
Ecco una sfumata metafora della nostra vita. Si sale verso una meta non ancora visibile. La fede ci dice che c’è e che bisogna continuare l’ascesa. Per ognuno c’è un calvario, una croce, una vetta.

Ma ogni fatica è uno sforzo creatore simile a quello divino se viene illuminato da Cristo. L’esperienza di fede continua attraverso le fibre del fisico e dello spirito. In questa situazione prevale l’adattamento alla volontà di Dio…è molto difficile soffrire con coscienza, con intelligenza. C’è sempre qualcuno che protesta in noi (P.Albino, Diario,p.72)
Ogni uomo vive in un mare di sofferenze. Molte subìte, altre effetto di errori personali o collettivi, altre accettate con amore.
L’eterna domanda riguarda sempre il dolore: perché Dio lo ha permesso e come si concilia con la sua infinita bontà? Eppure il cristianesimo ha come simbolo la croce e lo stesso Maestro ci indica che il Regno si raggiunge tramite essa. E’ possibile costruire una vera filosofia della croce? Filosofi e teologi si sono scervellati per poter dare una spiegazione accettabile alla logica umana.

E invece non risulta rientrare in alcuna logica. Più la ragione vi penetra e più diventa illogica. La domanda si fa più insistente: nella sua onniscienza ed onnipotenza, non poteva il Signore risparmiare a se stesso e a noi tanta fatica? Non poteva donarci un’intelligenza tale ed una visione della vita così completa da fare in modo che noi lo adorassimo senza entrare in un mare di dolore così spesso insopportabile? L’uomo saggio, previdente, ragionevole, questo ipotetico altro Adamo non si sarebbe lasciato corrompere dal diavolo e quindi non sarebbe decaduto. Tutte domande che scaturiscono dalla mente isolata dal cuore. La razionalità non riesce a penetrare il mistero. Il cuore ne intuisce lo spessore.

Allora bisogna scendere al cuore. La fede, virtù teologale, ci deve condurre ad una convinzione fondamentale : Dio è bontà e misericordia infinite. E’ necessario credere nonostante le apparenze ci facciano dubitare di ciò. Bontà significa condividere quello che si ha e, più ancora quello che si é. Dio vuole condividere con noi quello che ha e quello che é. Ciò che ha di più prezioso, oltre alla creazione, è suo Figlio. Nell’incarnazione ce lo ha dato. Noi l’abbiamo maltrattato a causa della nostra incredulità e opacità.

Ma da questa sua enorme sofferenza ci ha resi partecipi della sua natura. Condivide con noi ciò che é perché chi crede in Lui, cioè lo ama mettendo in pratica le sue parole e il suo esempio, si “divinizza”, diventa coerede di suo Figlio, quindi figlio di Dio.

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Perché tante tentazioni?