dal Messaggero veneto del 14/11/02

POLITICA E FEDE : CLERICALI SE CONVIENE

di DOMENICO ROSATI


Che Giovanni Paolo II si muova con disinvoltura nei centri della vita civile italiana è, per un verso, un segno dei tempi, per un altro un tema da indagare. Tante cose sono accadute dalla breccia di Porta Pia, 1870.

E appare ingiallito anche l’altro fotogramma, datato 1966, che ritrae la visita di un altro Papa, Paolo VI, in Campidoglio. Il distacco dalla sovranità temporale pontificia venne sancito allora con parole che giova richiamare: «Non abbiamo per essa alcun rimpianto né alcuna nostalgia, né tantomeno alcuna segreta velleità rivendicatrice».

Recandosi a Montecitorio, Wojtyla non fa che confermare l’immagine dell’autonomia reciproca di Stato e Chiesa, base di ogni autentica collaborazione.
La vera novità è nel fatto che il Papa parlerà nell’aula parlamentare.

Un evento davvero inedito perché in Italia non c’è la tradizione di concedere tale facoltà agli ospiti, per quanto illustri. Poi c’è l’attesa per il discorso. E qui, senza nulla togliere al rilievo che avrà, emerge la materia dell’esplorazione.

Chiederà clemenza per i carcerati? Come affronterà i nodi della bioetica e della scuola? E quanto insisterà sulle «radici cristiane d’Europa»? Interrogativi del tutto retorici perché centinaia di testi certificano il pensiero del Papa su questi e su altri argomenti: la vita, la pace, la solidarietà, la globalizzazione.

E’ vero. Ma quali saranno i toni, le sfumature, i sottintesi, gli omissis? Più brutalmente: chi potrà giovarsi del discorso papale? Chi ha esperienza di movimenti cattolici trova in questa vigilia una somiglianza con i pronostici che precedevano incontri dai quali ci si attendeva un’approvazione o uno stop, un incoraggiamento o un richiamo. Manifestazioni di trepidazione utilitaria, comprensibili, forse, in un quadro di intense relazioni ecclesiali.

Ma che accade se una siffatta ansia si coglie pure negli atteggiamenti dei titolari di eminenti responsabilità pubbliche?
L’opinione di chi scrive è che, da quando è cessato il vincolo dell’unità politica dei cattolici, buona parte del ceto politico, e non di una sola sponda, sembra essersi applicata a una competizione volta a compiacere istanze, palesi o presunte, di una Chiesa «extraparlamentare» che ha lasciato liberi i «voti del cielo».

Il problema non riguarda chi è clericale per definizione, ma chi lo diventa per convenienza. Se l’analisi è infondata, tanto meglio. Per le coscienze cristiane e per la qualità della politica. In caso contrario, occorre vigilare e anche pregare. Che il potere temporale, che i Papi non rimpiangono più, non venga involontariamente aggiornato a opera di soggetti laici desiderosi di essere accanto.

Un osservatore sensibile come Giovanni Bianchi ha scritto un libro che descrive «il paese degli atei devoti». Ci si può leggere persino una consolazione.
Ma è prudente segnalare il pericolo sui due versanti: quello della politica e quello della fede.
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