dal Messaggero veneto del 7/11/2001

Al convegno, Luciano Erba e Amedeo Giacomini hanno ricordato l’esistenzialista e l’uomo d’azione
L’appassionato intervento di Franco Loi su padre David e la sua ricerca di Dio

UDINE – Franco Loi solo contro tutti. Il poeta milanese, seduto mercoledì sera al tavolo della sala Ajace per discutere sulla poetica di padre Davide Maria Turoldo, ha scandalizzato, con la sua onestà di pensiero e la sua ispirazione, non pochi presenti. A partire da Luciano Erba, seduto accanto a lui. Più neutrale la posizione del poeta Amedeo Giacomini, che, invece di approfondire la poetica di Turoldo, ha preferito dedicare il suo intervento al ricordo di un amico battagliero, ma straordinariamente caritatevole.

Ma quali sono le affermazioni di Loi mal digerite dal pubblico? «Considero Turoldo un uomo straordinario e di grande forza – ha premesso Loi –, ma non amo la sua poesia. E non ritengo che sia stato un grande poeta. Io credo che la poesia sia incarnazione; dal vuoto ci deve spingere nella carne, e da lì far nascere simboli nuovi. La poesia rinnova sempre i simboli e rinnova sempre il rapporto con Dio. Nella poesia di Turoldo, invece, c’è sempre l’uso di stilemi, per dire le cose, di carattere letterario e, dunque, facendo retorica. Questo mi lascia indifferente. Non deve essere la mente dell’uomo a far poesia, come nel caso di Turoldo, che ha evidenziando soprattutto la ricerca, attraverso il pensiero, di Dio. Ma questa ricerca, che a volte raggiunge momenti alti del pensiero, non è poesia. La poesia è fatta di ben altro: la poesia significa ascolto.

Non è il pensiero che eleva, ma il movimento che porta ad avere sensazioni, emozioni e anche pensieri, pensieri che si riversano in una parola che nasce da dentro, che ha un suo ritmo, un ritmo universale, ma che non costruiamo volontariamente. Impariamo a distinguere il neoclassicismo dalla poesia. La poesia non costruisce dei manufatti. Turoldo – ha continuato Loi – è stato uno dei più grandi uomini del nostro tempo, ma non per questo doveva essere per forza un poeta».

Il pubblico a questo punto ha iniziato a dimostrare perplessità e, mentre Loi s’abbandonava a un’innamorata descrizione della poesia, nella testa già frullavano provocazioni e smentite che alla fine i presenti non hanno risparmiato. Come l’intervento del professor Gianfranco Scialino e di monsignor Nicola Borgo.
«Quella di Turoldo – ha concluso Loi – è stata soltanto una straordinaria ricerca di Dio attraverso il pensiero. Ma Dio non è nascosto, è presente. Dio è la nostra misura; c’è misura fra gli uomini quando si misurano con l’infinito».

Amedeo Giacomi ha preferito non approfondire la poetica di Turoldo, privilegiando, piuttosto, i ricordi e le doti più belle riconosciute nel sacerdote di Coderno: «Quando ho conosciuto Turoldo – ha raccontato -, da convinto marxista qual ero, invasato da una visione ideologica quasi talebana, non avevo apprezzato le sue doti più grandi. Di lui amavo la violenza verbale, ma soprattutto la fede, che per lui era la ricerca, in un mondo sopraffatto dal nulla, della presenza di Dio. Forse era un esistenzialista, ma con una dote in più: quella profetica».

Conosciuto Turoldo ai tempi della resistenza, Luciano Erba ha raccontato di un poeta che ha cantato la vita e la lotta per la vita delle creature del mondo. Una poesia dove è presente una sorta di teopatia, e cioè una disperata e sofferta ricerca di Dio, paragonabile – secondo Erba – a quel momento di sfiducia che indusse Cristo sulla croce a domandare al Padre la ragione del suo abbandono.

Lucia Burello