II  DI QUARESIMA 2016  Giovanni 4, 5-42      

È la domenica
della samaritana, dell’acqua, della sete: di Dio e dell’uomo, sete d’amore.

Iniziamo la
liturgia con il segno dell’acqua che è memoria delle nostre origini, la vita
viene dall’acqua; che è immagine di un Dio che fa nascere, rende fecondi, che
ripulisce il cuore. Con quest’acqua scende su di noi l’energia di Dio come
quotidiana freschezza, che lava via gli angoli oscuri del cuore.

 

Vuoi riconquistare una
persona amata, riannodare i fili di
un amore?
Gesù, Maestro del cuore, ha un metodo quasi infallibile. E
oggi lo espone in uno dei racconti più ricchi e inesauribili del vangelo.

Gesù, affaticato per il viaggio, sedeva presso il
pozzo di Sicar. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua.
È una donna senza nome, che assomiglia a tutti noi. È
la sposa che se n’è andata dietro ad altri amori, e che Dio, lo sposo, vuole
riconquistare.

Come procede? Non con
minacce, recriminazioni, accuse, ma con l’offerta di un qualcosa di più, un
amore più grande. Con un
corteggiamento. La mia fede è la risposta al corteggiamento di Dio.

C’è tutta una trama nuziale sottesa al racconto della
samaritana. Nella Bibbia gli incontri al pozzo sono spesso preludio di
innamoramenti e di nozze, come per Rebecca e Giacobbe. Uno dei luoghi in cui
affiora la chiave di volta della Bibbia che, dal primo all’ultimo dei suoi 73
libri di cui è composta, è un rapporto sponsale, una trama nuziale tra Dio e
l’umanità.

Dal momento che ti mette in
vita, Dio ti invita alle nozze con lui. Ognuno a suo modo sposo. Dammi da bere. Dio ha sete, ma non di acqua.
Lo sposo ha sete di essere amato.

 

Gesù
è seduto al muretto del pozzo. Che cosa vede da quel luogo? 

Il monte Garizim, con il grande
tempio dei samaritani; e poi altri cinque colli, su cui i coloni stranieri che
i babilonesi hanno inviato per ripopolare Samaria durante l’esilio, hanno
eretto cinque templi ai loro dei.

Il
popolo è andato dietro a cinque idoli, come la donna ai suoi cinque mariti. Che
però non mantengono ciò che promettono. Storia, persona, popolo, luogo, simbolo,
tutto si intreccia per convergere all’essenziale.

 

Qual è il punto di svolta, il tornante dove il
racconto di Giovanni cambia direzione? Gesù
che risponde: Se tu conoscessi il dono di Dio…

Il dono è la parola portante
della storia sacra: Dio non chiede,
dona
; non esige, offre: Ti darò
un’acqua che diventa sorgente.

Una sorgente intera in
cambio di un sorso d’acqua. Un simbolo bellissimo: la fonte è molto più di ciò
che serve alla tua sete; la sorgente è senza misura, senza fine, senza
rendiconti. Esuberante ed eccessiva. Immagine di Dio. Metterò Dio dentro di te, fresco e vivo. Il dono di Dio
è Dio stesso che si dona.

La samaritana ragiona per
equivalenza, Dio invece per eccedenza, per un di più di bellezza, un di più di
vita e di gioia. Con una finalità precisa: che torniamo tutti ad amare Dio da
innamorati.

Non come impauriti servi di
casa al ritorno del padrone, ma come coloro che sono tornati ad innamorarsi di
nuovo.

La fede è questo: è
acquisire bellezza del vivere, acquisire che è bello amare, cercare, lavorare,
avere figli, coltivare amicizie, pregare, perché c’è un senso nel cuore, quel
senso è positivo, quel positivo dura per sempre.

Problema di fede. Dove andremo, dice la donna, per
adorare Dio?
Sul nostro monte o a Gerusalemme? a risposta è diritta come un
raggio di luce: non su un monte, non nel tempio, ma dentro. Sei tu il Tempio, dove vive Dio.
Sei tu il monte dove Dio parla come in antico.

Una cosa grandiosa: Gesù che
sovverte separazioni, che rompe barriere ed esclusioni tra razze, sesso, fedi,
culture, dice a quella donna, che è straniera, che è eretica, che è stata
tradita e forse ha tradito, dice:

Dio lo possiamo cercare,
insieme, in tutte le religioni, oltre la
foresta delle fedi, come scrive P. Turoldo, oltre la foresta dei riti e
delle formule, cercando in spirito e verità.

Qui è il dialogo
interreligioso che apre le ali attorno al pozzo, sotto i cinque colli delle
altre fedi, sotto il monte Garizim dei samaritani, lontano dal monte Sion dei
Giudei. Dio è vicino a te, donna dal cuore tante volte acceso, tante volte
infranto, ma dal cuore vivo!

Dio non è lontano, è dentro,
come il respiro, come il cuore. L’uomo, scrive p. Vannucci, è l’unico animale
che ha Dio nel sangue.

Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito». Gli risponde la donna: «Non ho
marito». E Gesù: «Hai detto bene, hai avuto cinque mariti e quello che hai ora
non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

Gesù è maestro nell’arte di creare comunione.

Vai a chiamare colui che
ami
, Gesù
quando parla con le donne va diritto al centro, al pozzo del cuore.
 Solo fra le donne Gesù non ha avuto
nemici
, il suo è il loro stesso linguaggio, quello dei sentimenti, del
desiderio, della ricerca di ragioni forti per vivere.

L’arte del dialogo. Gesù
guarda quella donna, la ascolta, e quando risponde non esprime un giudizio, non
un rimprovero, neppure un consiglio. Il primo sguardo di Gesù si posa sempre
sul bisogno di una persona: tu hai bisogno di amore, l’hai tanto cercato e
continui.

Noi pensiamo,
sbagliando, che questa donna che cambia 6 mariti sia una di facili costumi.
Niente di più falso, per il diritto Ebraico è l’uomo solo a poter divorziare,
il che vuol dire che tutti e 5 i mariti l’hanno tradita. Forse aveva colpe,
forse no. Niente ci autorizza a pensare in questa direzione.

Ciò che Gesù fa è cercare
il positivo di quella vita. Il suo sguardo amoroso lo trova e lo mette in luce,
lo fa per ben due volte: hai detto bene,
all’inizio; e alla fine della frase: in
questo hai detto il vero.

Trova verità e bene, il
buono e il vero anche in quella vita accidentata, e allora nessuno ne è privo. Vede
la sincerità di un cuore vivo ed è su questo frammento d’oro che si appoggia il
resto del dialogo.

Non
le chiede di interrompere la convivenza o di mettersi in regola con il suo
amante, prima di affidarle l’acqua viva; non pretende di decidere lui per lei
il suo futuro. E’ il Messia di estrema delicatezza, è il volto bellissimo di Dio. Che si fida, si affida a
questo splendido e meschino cuore innamorato.

È il volto poetico di Dio:
che parla di sé come di sorgente d’acqua
viva. Tre immagini, tre metafore poetiche: sorgente-acqua-viva, che non sono definizioni di Dio, non sono
dogmi, ma stupore che si accende,  finestre di cielo, sentieri che partono, respiri che si allargano.
Togli la poesia e della bibbia resta un mucchietto d’ossa aride.

La teologia spesso rende
difficile, se non impossibile, il dialogo tra le religioni, la mistica e la
poesia lo riaprono ogni volta di nuovo.

E la donna
lasciata la sua anfora, corse in città e diceva: «Venite a vedere un uomo che mi
ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?».

Uno che dice tutto di te! Che bella definizione di
Gesù! Lui conosce il tutto dell’uomo: e c’è
in ognuno una sorgente di bene
, un pozzo di luce, più forte del male. Ci
sono fontane di futuro che lui ridesta.

Gesù: lo ascolti e nascono sorgenti. In te, per gli
altri. Diventare sorgente per la
sete di chi ti sta vicino, per il mondo
, che programma di vita!

Se
lo accogli sentirai nascere fra le tue mani il canto di una sorgente. A partire
da te, ma non per te.

 

 

Preghiera della donna di
Samaria

 

Sotto il sole più caldo

lo vedo

assetato

e così povero

come chi

per bere

ha solo la coppa

delle sue mani.

 

Ha grumi di deserto

nei capelli

e un silenzioso desiderio

che affiora negli occhi.

 

Uomo assetato

d’acqua e d’incontri.

Uomo

che aspetta me.

 

Mi dice:

ho sete.

 

Come me

anche tu hai sete

uomo solo.

 

Io ti dò acqua di pozzo

e tu mi dici:

guarda nel pozzo del tuo cuore.

 

Rispondo:

solo nero e buio

nient’altro contiene il mio cuore.

 

Ma tu mi dici:

scendi i gradini

va’ nel profondo,

senza paura del buio.

 

E sotto ho trovato un lago di luce.

E mi sono immersa

e sono risalita imbevuta d’azzurro.

 

Ho toccato con la mano il mio uomo

e anche lui ho contagiato d’azzurro.

Ho toccato con la mano mio figlio

e anche lui ho contagiato di luce.

 

Sorpresa dalla gioia

non ho avuto dubbi:

era Lui!

Il suo nome era Dio!

 

Ed era intimo a me

come può esserlo un bambino dentro la madre

o un pane dentro la bocca.

 

E io che lo avevo cercato nel tempio,

io che lo avevo cercato sul monte

e Lui era lì.

 

Io il tempio

io il monte

dove vive Dio.

 

Il Dio delle donne innamorate,

il Dio del desiderio,

delle zolle riarse.

Il Dio che si trova nel cuore,

nel pozzo,

proprio dentro il mio vuoto.

(Marina Marcolini)


I NOMADI DI DIO



III di QUARESIMA
–Domenica di Abramo- Anno C

Es 32, 7-13b –
 1Ts 2,20-3,8 – Gv 8, 31-59

 

Celebriamo la
domenica di Abramo e dei suoi figli. Figli nella Bibbia sono coloro che fanno
le opere del padre: opere di fede, libertà, speranza. Anche noi, pur con tutti
i nostri dubbi, con la nostra fatica ad essere liberi e ad essere veri, invochiamo
ora: fa che vediamo, sentiamo, gustiamo il tuo amore. E la vita riprenderà a
scorrere verso l’alto.

 

Gesù impugna la
falsa fede: vi siete costruiti un modello
perfetto. C’è la dottrina, ci sono le regole, le parole e i riti, la gerarchia,
ma manca l’essenziale.

L’essenziale in una
domanda: chi è tuo padre?

Di chi sei figlio?
Di Dio o del diavolo?

Come una frustata,
una delle parole più dure di Gesù: voi
avete per padre il diavolo. Siete suoi figli, gli assomigliate: volete
uccidere e mentite sapendo di mentire, proprio come lui, omicida da sempre, padre della menzogna.

Diventate
invece figli di Abramo, facendo le sue opere,
chiede Gesù, che sono tre: l’opera
della fede, della libertà, della speranza.

1.  L’opera della fede: Abramo è pronto all’impossibile, a contare le stelle e a misurare la
sabbia; a camminare per tutta la vita dietro a quelle tre promesse: figli come stelle, terra di latte e miele,
una benedizione per sempre.

E Abramo va&rsqrsquo;.
Vecchio d’anni ma non vecchio di cuore,

e ama le promesse di
Dio più ancora della loro realizzazione.

Si fida di Dio. Ciò
che Dio promette è perfino illogico, ma Dio è affidabile.

E quando gli chiede di legare il piccolo Isacco e di
alzare il coltello, ciò che sta accadendo è incredibile, in quel momento Dio
nega le promesse di Dio, Dio nega Dio, c’è da impazzire: ma Dio è affidabile.

Lui troverà il modo, e il modo è un angelo che ferma
il balenare del coltello.

Nella vita di ciascuno Dio è affidabile. Risponde
sempre, sempre; non alle nostre richieste, ma alle sue promesse.

Il Dio della croce di Gesù è incredibile, ma è
affidabile.

L’opera della fede si fonda su tre passi:

ho bisogno,
mi fido, mi affido.

     ‘Ho bisogno’,
aiutami; da solo non ce la faccio a vincere la mia notte, ho bisogno di cure,
di pane, di amore, per me e per coloro che amo.

     ‘Mi fido’:
delle tue promesse: so che ciò che tarda di certo verrà; mi fido di te: so che
vesti i fiori del campo, che sostieni il volo dei passeri, e sosterrai anche il
mio volo.

     Mi affido’, mi metto nelle tue mani; mi stringo a te come
uno che si stringe all’amato del suo cuore. E gli affida tutto, mettendo nelle
sue mani la felicità, la libertà e il futuro, il corpo e l’anima. Mi affido al
tuo abbraccio, perché mi manca la vita se tu mi manchi.

Sono i tre passi della fede
che ci insegnano le donne del vangelo: la samaritana e poi la peccatrice
anonima e innamorata, con il suo vaso di profumo.

Primo passo.
Ho bisogno! Ho questo vuoto dentro. Non ho più neppure un nome. Per tutti sono ‘La peccatrice’. Mi guardano: occhi
pieni solo di disprezzo e di desiderio.

Secondo passo.
Mi fido! Mi fido di te Gesù, credo che tu, almeno tu, non mi manderai via; so
che tu, almeno tu, mi guarderai e vedrai le mie ferite, per guarirle non per additarle
e giudicarle. Mi fido: tu guardi il cuore.

Terzo passo.
Mi affido! Metto il passato e il futuro in te; metto lacrime e carezze; capelli
e profumo. Mi affido senza riserve, mi espongo agli sguardi di tutti, ma sto
qui, ai tuoi piedi.

Fai di me quello che vuoi,
so che tu mi ridarai il mio nome, mi
farai nuova, e donna finalmente.

E
allora potrò raccontare la fede come si racconta una storia d’amore.

2. L’opera
della speranza: Abramo, vostro Padre
esultò nella speranza di vedere il mio giorno.  

Abramo
muore e – della terra di latte e miele – ha comprato solo, e a caro prezzo, una
grotta grande quanto bastava per due tombe; dei figli come stelle, ne ha uno
solo, che ha rischiato di uccidere.

Quasi niente, eppure
conserva la fede.

La
speranza è, secondo san Tommaso, il
presente del futuro. Abramo guarda il piccolo seme presente e vede la spiga
futura. La speranza è una corda tesa verso il futuro, come il filo dei
muratori, come la corda dei costruttori.

La
speranza ha due sorelle, fede e carità. Ma essa è la virtù bambina, scrive Péguy, la più piccola. Fede e carità la tengono per mano, ma
non sono loro a condurla, in realtà è la piccola che cammina in mezzo a loro
che tira avanti le sorelle maggiori, è la speranza che trascina avanti la vita.

3. L’opera della libertà: forse la parola più cara all’uomo (libertà vo’ cercando ch’è sì cara, come sa
chi per lei vita rifiuta) ma anche, insieme ad amore e verità, la parola più
falsificata, più imbrattata della storia.

      Abramo è il
nomade senza mura e senza catene, che per letto ha tutta la sabbia del deserto,
come soffitto lo spazio il cielo, come recinto l’orizzonte.

        Libero
di fare ciò che fino a un attimo prima era lontanissimo dai suoi pensieri;
pronto a mettersi in viaggio verso una terra che non sa dove sia; che per
decidere dei pascoli, dice a Lot: scegli,
se tu vai a destra io andrò a sinistra.

          Più libero
di Abramo è solo Gesù. Il fascino di Gesù uomo libero, che non si è mai fatto
comprare da nessuno, accende trasalimenti in ognuno di noi, forse perché tutti
soffriamo di imprigionamenti.

        Se ti fai lettore attento del Vangelo non puoi sfuggire all’incantamento
per la libertà di Gesù. Non la fissità delle regole, ma il vento che scompiglia
le pagine e soffia via la polvere.

          La libertà
ha un segreto, il segreto è quel pezzo di Dio che è in te e che i veri maestri
dello spirito ti invitano a scoprire e a liberare. Se sei fedele a quel pezzo
di Dio in te, sei libero dalle paure, dalle convenzioni abusate, dai codici senza
anima, dal giudizio degli altri.

Per
te contano solo gli occhi del tuo Signore.

Lo sottolinea una
parola magnifica della lettera agli Ebrei:

casa di Dio
siete voi, se conservate libertà e speranza
(Eb3,6).

Dio pianta la sua
tenda in te,

se conservi due
componenti divine: libertà e speranza.

Tu salvi Dio nel
mondo, quando salvi libertà e speranza, per te e gli altri.

Sei casa di Dio,
quando vivi una vita irreprensibile?

Quando conservi
l’integrità della dottrina e della morale?

Ebbene no. Non è
così.

Ed è bellissimo:
Casa di Dio, santuario, tempio, abbraccio di Dio sei tu

se mantieni acceso
nel mondo il fuoco della libertà e della speranza.

Allora sei figlio
d’Abramo, nomade di Dio.

Sotto un cielo che

prepara oasi ai nomadi d’amore (Ungaretti).

 

 

 

 

Preghiera alla Comunione

 

Signore,
voglio essere tuo figlio e tua casa.

E custodire
nel mondo libertà e speranza, come Abramo;

e rimettere
mano alla dura pietra del cuore

per renderlo
spazioso e tenero.

 

Non per la
mia piccola fede, ti prego,

 ma per la fede di Abramo, di Mosé, di
Gesù:

per Abramo,
in cui hai benedetto tutte le genti,

benedici
anche me:

 

anch’io
benedetto,

in tutte le
mie ambiguità benedetto,

nelle mie
povertà benedetto,

con tutte le
mie ferite benedetto,

perfino nei
giorni in cui

che sono
inganni lo so,

e tu e io
sappiamo che non potrò non ingannarmi ancora,

pure lì
benedetto, da Te l’unico che cambia il cuore.

 

Nel mio amore
incipiente benedetto,

nella
speranza bambina benedetto,

nella libertà
mai venduta benedetto.

Benedetto da
Te,

 fonte di libere vite

che ami senza
condizioni,

che perdoni
senza nessun rimpianto, mai. Amen

 

 

 

p. Ermes Ronchi