LA FEDE E LE SACRE SCRITTURE OGGI
(intervento di mons. Nicola Borgo – Udine)

Una delle realtà difficili è la comunicazione della fede, ovviamente fondata sulle Sacre Scritture, sia che comprendono sia iI Vecchio Testamento che il Nuovo Testamento.
Noi oggi siamo abituati al “documento”, e il “documento” è quello che fonda una certezza storica.

Ovviamente chi scrive ha anche delle finalità. È difficile non avere delle finalità, le quali possono essere prettamente contingenti, ma possono essere anche delle finalità che portano con sé l’amore ad una ricerca più o meno radicale. Io stesso oggi faccio fatica, per esempio, a presentare alle assemblee, anche liturgiche, lo stesso linguaggio del messale, perché esso è stato redatto nella lingua locale, ed è stato costruito in tempi molto lontani, con categorie  esplicative e molto diverse da quelle che sono attualmente.

Gli studiosi parlano di “generi letterari”, cioè di particolare attenzione nel momento e nell’epoca in cui vivono all’assemblea a cui erano diretti.
Logicamente il linguaggio è più ricco di segni, molto meno da documento d’archivio. Erano linguaggi orientati a favorire la fede, quindi ben finalizzati, non tanto a fornire una notizia storica, quasi fosse un assoluto, ma da un fondamento storico reale cogliere effettivamente il significato fideistico che costruiva un legame più profondo, interiore, spirituale.

Questo perché nella realtà biblica c’è un attore che è la realtà di Dio, il quale nel Nuovo Testamento diventa trinitario: il Padre che si dona, il Figlio che risponde al dono del Padre e lo Spirito che è comunicazione del Padre e dello Spirito, comunicazione creativamente infinita.

Logicamente per tradurre queste realtà si usano i “generi letterari” che sono una specie di cornice narrativa. Se io devo narrare un determinato atteggiamento interiore e renderlo in qualche maniera accettabile dal punto di vista della comprensione più semplice, è facile che sia attento all’orizzonte un po’ mitico, anche favolistica.

È insomma una pedagogia che dal punto di vista letterario può avere un’infinità di significati.
I pittori, ad esempio, possono narrare un evento in tantissime maniere, a secondo della loro sensibilità
ed il tempo a cui sono chiamati ad esprimere la loro interiorità, ed anche a secondo anche dei committenti.

Molte volte il rifiuto delle Scritture è poco colto, superficiale, spesso aprioristico perché non ha le caratteristiche che si aspetta in un determinato momento storico. Ciò non esclude la validità delle Sacre Scritture, specialmente oggi che abbiamo a disposizione un orizzonte “critico” (nel senso positivissimo della parola) ed infiniti mezzi per poter reperire i fondi della realtà antica.

Ciò è molto interessante perché il metodo storico-critico non nega per niente l’orizzonte tematico di una determinata realtà, anzi lo contestualizza dando una dimensione dell’evoluzione storica. La distanza fra la Scrittura interpretata da noi e, per esempio, la realtà del Corano è grandissima: il Corano è consegnato “scritto da Dio”, per cui sembrerebbe spaventosamente statico una volta per sempre, invece nel nostro orizzonte per fortuna Iddio “ispira”,  “fa luce” dentro lo scrittore, il quale scrive secondo il modo di esprimersi del momento storico, delle modalità interpretative e degli orizzonti.
Ciò accredita la Sacra Scrittura.

In una società in cui la violenza è concepita come il massimo valore, potrebbe anche dirsi, da parte dello scrittore, che Dio è il “Dio degli eserciti”.
In un orizzonte profondamente mutato, invece, come quello di Gesù Cristo,  osserviamo che Egli stesso si integra accanto ai primissimi movimenti, tra i discepoli del Battista, tra gli Esseni, dove la violenza non ha più senso e l’orizzonte è più spirituale, dove la “conversio” nasce e si muove in orizzonti totalmente diversi. Non è sbagliato l’Antico Testamento, ma è limitato.

La traduzione modale dell’esprimere una qualità anche di Dio è logicamente limitata, ma c’è un’evoluzione e questo accredita di più la dimensione anche culturale di un approccio alle scritture.
Ieri la metodologia interpretativa era soprattutto l’ordine filosofico, la metafisica, che era una realtà radicalmente concettuale.

La società contemporanea arriva alla realtà non attraverso una concettualità preesistente, ma attraverso
la ricerca sperimentale, quella che ha inventato Galileo, per cui nel rapporto con una supposta realtà
la scienza sminuzza le cose, dissolve la “sveglia”, la parcellizza, ma non ti dice cos’è la sveglia nella sua realtà più intrinseca.

La scienza è preziosissima, nel senso che è un salto di qualità anche per tentare di capire come siamo fatti. Questo “come” ha significati grandissimi, perché, per esempio, l’analisi dei neuroni oggi ha ben poco a che fare con l’analisi del cervello di cento anni fa, con tutte le implicazioni conseguenti.
Naturalmente questo non costituisce la Verit&agagrave; in senso assoluto, ma è uno scoprire le dimensioni della realtà.

La pluralità delle dimensioni garantisce eventualmente un orizzonte di verità nel senso più amplio e più profondo. La Verità viene a noi attraverso la scoperta della realtà e credo che la teologia contemporanea
si orienti sempre di più su una concezione di Dio in cui la realtà fisica (che non è più la materia nel senso deteriore della parola) è la dynamis, la forza.

La stessa luce è forza. La pienezza di Dio è la pienezza della luce. di tutta la realtà energetica e l’energheia è fonte della vita, per cui facilita ancora di più la visione della Creazione, come fulcro fondamentale “sine fine” della ricchezza infinita ed inarrivabile dell’energia.

Pensare alla realtà di Dio come “Energia” è di una bellezza enorme. Certamente è ancora spurio, ma rende più credibile per la realtà di oggi lo stesso orizzonte di quella che ieri chiamavano la “Trascendenza”.
Ieri era una Trascendenza staccata, al di fuori della realtà materiale, oggi noi sappiamo che la materia non è solo l’atomo del quale non si sa quando è massa e quando è energia.

Quindi ci sono problematiche totalmente aperte, però sappiamo che quando moriamo finisce l’energia, 
si rompe l’impianto energetico. Ciò è ancora banale, ma nella realtà di una concezione globale e perfetta, certamente potremo anche dire che lo stesso mondo, la stessa realtà cosmica, in qualche maniera è contemporanea a questa realtà di Dio. È una maniera di dirsi della realtà di Dio, senza arrivare al panteismo.

Siamo in una fase di ricerca preziosa: guai chi conclude, nel senso di una Verità con la maiuscola, mentre scopriamo una realtà sempre più complessa che genera sempre più interrogativi.
Non conclusioni, ma interrogativi per ulteriori conquiste.

don Nicola Borgo