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Caro Pier Angelo,


ieri
sera sono andato al Centro Balducci di Zuliano per partecipare all’incontro sul
temma ” Vivere e morire con dignità”. A parlarne un medico, un
avvocato – la nipote del cardinal Martini – Beppino Englaro e don Di Piazza.


E’
stato un incontro molto interessante,ma anche molto importante, per me, perchè
mi ha messo a confronto con problemi, come quello del fine vita, con il quale
prima o poi dobbiamo confrontarci non solo come elemento di discussione, ma
perchè arriva ad interpellarti personalmente.


E’
qui che si mette in gioco la fede, quando certe cose che senti non
corrispondono esattamente a quanto sei abituato a sentire. E’ in casi come
questo che si mette in gioco qualcosa di cui spesso parliamo, ma senza sapere
esattamente cosa sia, perché, in fondo, non sappiamo neppure come definirla.


Aver
fede vuol dire confidare in qualcuno, o piuttosto credere in una dottrina, in
dogmi, in liturgie, in bolle, in diritto canonico, in norme stabilite o in
certi atteggiamenti che diamo per scontati per chi si dice credente?


E
fino a che punto aver fede corrisponde ad una libera adesione, ad una scelta
non imposta da consuetudini, o invece ad una accettazione più o meno passiva o
indulgente di ciò che altri dicono di fare; e poi, il rapporto tra fede e
ragione, fede e scienza – quello, per intenderci, di cui scriveva
appassionatamente il gesuita Tehilard de Chardin – dove lo mettiamo.


“Sola
fides sufficit”, certo, ma quale e come? Fede nei padri, fede/ubbidienza,
fede/sottomissione/, fede/indifferenza ( che poi è quella di molti cristiani),
o fede come scoperta di qualcuno che ti libera, di un Dio che mette in gioco
ogni tua azione, chiamandoti alla conseguente responsabilità?


Sono
le domande della fede. E nella fede, credimi, ho l’impressione che siamo tutti
un pò…infedeli. Eppoi ognuno di noi è unico nella fede: non c’è una unica
modalità nella fede, una fede che vada bene per tutti, ed ognuno deve ricercare
la sua, non appiattirsi su quella degli altri, neppure quella dei santi, perchè
la santità non a tutti è richiesta allo stesso modo.


Credo
che la mia, di fede, alle volte sia un poco problematica, almeno su certe cose
che vorrei capire meglio o che non mi convincono del tutto: la mente pensa,
medita, e vuol cercare soluzioni, se ce ne sono. In alcuni momenti sono, scusa
l’ossimoro, di fede infedele.


Questo
credo faccia parte dell’uomo, ché se avessimo tutti raggiunto certezze, che
gusto ci sarebbe a vivere? Per cui credo che potrebbe bastare un solo punto
fermo: Dio è amore e il suo linguaggio è il Vangelo/Buona novella, del Figlio.
Il resto lo possiamo mettere in secondo piano, e la storia ci ha insegnato che
quello che c’è ditero troppom spesso ha preso il sopravvento, potrtanto a
sbandate di cui soffriamo ancora oggi il peso.


Credo
pertanto che (anche la mia) la fede vada oggi depurata, semplificata,
essenzializzata dalle tante sovrapposizioni che hanno nascosto lo splendore del
messaggio rivelato; che la fede debba diventare semplice e povera come era
quella dei nostri vecchi, la cui unica teologia era il linguaggio
dell’esistenza, non la elucubrazione dei grandi teologi che hanno spesso
portato la teologia sulla torre di Babele.


E
anche: “credo, ut intelligam”, caro Pier Angelo, per quanto è possibile.
perchè anche l’intelligenza ha bisogno di fede.


Cordialmente,
Roberto