Molti filosofi e studiosi si sono cimentati nel cercare di capire la vera natura della “percezione”.
In questo contesto intendo come percezione l’interpretazione personale che noi diamo alla realtà che consideriamo esterna a noi.

Generalmente ci confrontiamo con gli altri e comunemente pensiamo di percepire tutti allo stesso modo perché crediamo di avere dei riscontri pratici. Se io vedo il colore rosso e tutti lo vedono tale chiamandolo “rosso” mi convinco che gli altri lo vedono come me.
Ma non è proprio così.

Il “rosso” che io percepisco non è detto che sia quello che percepiscono gli altri. D’altronde, dal punto di vista fisico il colore non è altro che una variante dell’onda della luce che si riflette sulle cose. I miei sensi percepiscono questa variazione in modo molto soggettivo perché dipende dai miei recettori oculari e dalla ricostruzione che la mia mente opera per individuare le caratteristiche affinché possa determinare il tipo di colore.

I passaggi dall’oggettività alla soggettività sono molteplici, più di quello che normalmente pensiamo. Se per un’ipotesi assurda io potessi immedesimarmi completamente in un’altra persona vedrei un mondo spaventosamente diverso da quello che vedo io, perché non mi riconoscerei nel suo tipo di percezione.
Anzi, paradossalmente, non potrei mai riconoscermi con la mia individualità, perché l’altra persona in cui mi sono immedesimato ha una sua individuale visione del mondo dovuta al DNA, al vissuto, alle scelte, alle emozioni ed ai sentimenti che ha già sedimentato.

Io, quindi sarò sempre me stesso e non potrei immedesimarmi con un altro nemmeno con la fantasia, altrimenti andrei contro la logica del buon senso.

È significativo questo brano del Vangelo di Giovanni:
“Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». (Gv 1,6-8.19-28)

Giovanni Battista risponde di non essere il Cristo, nè Elia nè qualche altro profeta. Egli è se stesso, voce di uno che grida nel deserto, cioè oltre i condizionamenti ecc. È lui e basta, non può essere un altro…
Alcuni reincarnazionisti vorrebbero avallare la loro visione del mondo citando questi tratti della Sacra Scrittura, e altri simili.

Quello che ho affermato sulla percezione è quindi frutto del buon senso perché ribadisco che ognuno è se stesso e non potrà mai essere un altro, pena la perdita della propria individualità.