da:  http://www.interris.it/homepage

In un Paese nel quale sempre più coppie scelgono di non avere figli può sembrare strano parlare di famiglie numerose.
Eppure la questione ha una rilevanza non da poco, in Italia sono 150
mila e rappresentano un’importante risorsa della collettività:
sostengono i consumi, forniscono forza lavoro e contribuiscono al
sostentamento dello Stato. Ruolo che una politica miope troppo spesso
sottovaluta. Da nord a sud il quadro cambia poco e chi decide di dare
alla luce più di 4 figli si trova in una situazione di perenne
precarietà.

Ne sanno qualcosa Angelo De Santis (coordinatore del Lazio
dell’associazione “Famiglie Numerose”)e sua moglie, che di bambini ne
hanno messi al mondo 6. La più grande ha 27 anni, l’ultima soltanto 9.

Nel mezzo una vita condotta all’insegna del risparmio, senza poter
contare sull’aiuto delle istituzioni. “Ormai ci siamo abituati –
racconta, amaro, a Interris.it Angelo – e non ci aspettiamo più nulla”.
Una riflessione che dà il polso del sentimento diffuso tra queste
coppie. “Per le amministrazioni siamo una risorsa economica – prosegue –
in più, dando un’educazione ai nostri piccoli forniamo un contributo
importante alla società senza ottenere nulla in cambio”. Nemmeno
l’esenzione dalla retta per gli asili nido dopo il terzo figlio, che per
questi nuclei sarebbe vitale. Una norma che il sindaco di Roma, Ignazio
Marino, colto dal raptus di una spending review indiscriminata, ha
cancellato. “Il primo cittadino dice che non può concedere l’esenzione a
famiglie che abbiano più di 150mila euro di reddito – racconta Angelo –
ma quante ne esistono così nella Capitale?”. Già quante ce ne sono?
Poche, e, di sicuro, in questa categoria non rientrano i De Santis.
Disoccupato lui, impiegata ministeriale lei. Insomma una coppia come
tante, condannata a fare sacrifici su sacrifici in virtù di una scelta
d’amore. “Ciononostante esistono persone che continuano a procreare –
spiegano- perché credono in qualcosa di superiore e vogliono fare il
bene della collettività”.

A colpire è soprattutto l’apertura alla vita di queste persone.
Commuove la storia di Giovanni Avesani, un avvocato di Verona che ha
avuto 8 creature, 5 dalla prima moglie (deceduta nel 1995) e 3 dalla
seconda, Raffaella, con la quale ha deciso di compiere un gesto
straordinario: prendere in affido Francesco, un bimbo disabile. “Stiamo
per avviare le pratiche per l’adozione – ci dice il papà – lo abbiamo
preso perché era stato abbandonato. Se non lo avessimo fatto
probabilmente sarebbe morto”. Le condizioni di Francesco, infatti,
richiedono continui ricoveri ed elevate spese mediche. “Lui ha bisogno
di terapie frequenti, ogni mese abbiamo un esborso di 100 euro in
farmaci”. Ma in Veneto l’attenzione nei confronti delle famiglie è
diversa da Roma. “Il comune è un po’ lento ma il servizio affidi
funziona e abbiamo un rimborso – spiega Giovanni – in più c’è una legge
regionale grazie alla quale riceviamo un contributo da 516 euro con cui
abbiamo potuto assumere una ragazza”. Senza l’aiuto della pubblica
amministrazione andare avanti sarebbe difficile per gli Avesani: “La
crisi ha colpito anche i professionisti e noi stiamo vivendo un periodo
complicato”. Perché le famiglie numerose moltiplicano le spese
normalmente sostenute dai nuclei più ristretti. Basti pensare che ogni
figlio costa 8 mila euro l’anno, di cui 4 mila solo per nutrirlo. A
questo si aggiungono le uscite per il vestiario, le tasse scolastiche o
universitarie e quelle derivanti da uno stile di vita necessariamente
extralarge: macchina grande e casa spaziosa. Il tutto a fronte di una
serie di bonus e detrazioni fiscali che ammontano a pochi spiccioli. E
non sono pochi i nuclei che decidono di espatriare in cerca di un
miglior trattamento, portando altrove il proprio contributo sociale. Uno
schiaffo che l’Italia, per l’ennesima volta, si sta dando da sola.

Ma c’è anche chi sa affrontare le difficoltà facendo affidamento solo sulle proprie forze e in una fede incrollabile.
Parliamo di Aurelio e Rita Anania, una coppia di Catanzaro con 16
figli. Una famiglia da record che, tuttavia, si definisce
“straordinariamente normale”. Ma come si vive con una squadra di calcio
(riserve comprese) tra le mura domestiche? “Non siamo quelli del Mulino
Bianco – ci dicono – ogni giorno si combatte: un litro di latte non ti
basta per la colazione, ne servono 5”. E tuttavia “se potessimo tornare
indietro faremmo le stesse cose. Ogni figlio è un dono di Dio e come
tale va accolto”. Aurelio sorride mentre racconta le sue sveglie prima
di recarsi al lavoro (è bidello presso l’Accademia di Belle Arti del
capoluogo calabrese): “La cosa più bella è il dialogo la mattina.
Sentirsi dire 16 volte ‘buongiorno’ e raccontarsi come abbiamo passato
la notte”. Un’immagine meravigliosa che sembra riportarci ai tempi
passati, quando maternità e paternità erano ancora avvertire come una
missione. Oggi non è più così: la razionalità troppo spesso prende il
posto del cuore. “La gente si è secolarizzata – commenta amaro Aurelio–
si è tolta alla Provvidenza la capacità di operare. E la prima cosa che
si fa è chiudersi alla vita”.

Luca La Mantia