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I miei passi sono i tuoi

Sant’Agostino era solito dire: «Preferisco essere
capito da un pescatore che lodato da un dottore». Ricordo che, parafrasando una
frase celebre di Ugo Foscolo («Italiani, vi esorto alle storie!»), in un
incontro gridai: «Teologi, vi esorto alla predicazione!».

La Chiesa non ha solo bisogno di avere dei teologi e
dei predicatori, ha bisogno di avere teologi predicatori e predicatori teologi!
Uomini, e oggi anche donne, capaci di dialogare con la cultura, di fare la
sintesi tra fede e ragione. ()

Comunicazione soggettiva è, per eccellenza, la
predicazione cristiana in tutte le sue forme, non escluso il catechismo. «La
predicazione cristiana – ha detto Kierkegaard – è comunicazione di esistenza,
non di dottrina». Diciamo forse meglio: è comunicazione di esistenza anche
quando è comunicazione di dottrina.

Kierkegaard critica l’abitudine di accostarsi alla
Parola di Dio in maniera solo oggettiva, studiandone il testo, il contesto, i
passi paralleli, le fonti, le varianti critiche e tutto il resto, senza mai lasciarsi
interpellare personalmente da essa. Questo, dice, equivale a studiare la
cornice, la forma, il materiale di cui è fatto uno specchio, senza mai
guardarsi nello specchio. Si priva lo specchio della sua vera funzione!

Da ciò l’importanza che la comunicazione religiosa
parli al cuore e non solo alla mente. Dio, dice la Bibbia, «scrive sul cuore» e
«parla al cuore»; ai suoi profeti raccomanda di «parlare al cuore di
Gerusalemme». La critica che ho raccolto più spesso da persone che avevano
appena ascoltato un discorso, una predica, un’omelia è: «Non tocca il cuore,
parla solo alla mente».

Si spiega perché questi libretti di P. Andrea hanno per
sottotitolo: “Scritti col cuore”.

Raniero Cantalamessa