La complessità

Siamo completamente immersi nel mistero ma spesso ne siamo inconsapevoli.
Il nostro corpo, così armoniosamente organizzato nella natura, si muove e si sposta da un punto all’altro.

Respiriamo, odoriamo, osserviamo, gustiamo, tocchiamo, parliamo, pensiamo, progettiamo, realizziamo, ci riproduciamo, ma raramente ci rendiamo conto della complessità incredibile di queste funzioni.

Questa complessità manifesta la tendenza della molteplicità verso l’unità.
La molteplicità è più vicina al nulla, l’unità all’essere.

L’uomo è stato creato dal nulla per essere. La vera esistenza si realizza nell’unità, quindi tutto ciò che è molteplice si organizza continuamente per ristabilire l’equilibrio unitario a cui tendiamo.

« Più un essere è complesso, in base alla nostra Scala di Complessità, più esso è centrato su se stesso e per questo diventa più consapevole. In altre parole, più elevato è il grado di complessità in un essere vivente, maggiore è la sua coscienza; e viceversa. Le due proprietà variano in parallelo e in modo simultaneo. Se vogliamo rappresentarle in forma di diagramma, esse sono equivalenti e intercambiabili. »
(Pierre Teilhard de Chardin, The Future of Man)

Epistemologia della complessità

Fenomenologicamente parlando, nell’ambito della complessità ha rilevanza il concetto relativo all’omogeneità, applicato sia nell’ambito spazio-temporale che fisico e chimico.
Dal punto di vista spaziale è omogenea una quantità di elementi uguali disposti simmetricamente uno accanto all’altro. Nella nostra  impostazione mentale tra questi riteniamo uno il più centrale, mentre gli altri sono relativamente equidistanti ai prossimi, ma gradualmente distanti da quello centrale. Su questo sistema è possibile applicare concetti matematici molto semplici che si esprimono in formule sempre più sintetiche e rappresentative.

Quando, per qualsiasi causa, questo sistema comincia a rompere lo schema dell’omogeneità per organizzarsi in forme asimmetriche rispetto a un punto di riferimento centrale, allora si innesca il meccanismo della complessità strettamente correlato al concetto di eterogeneità relativamente ai punti di riferimento considerati.

In questo caso il sistema evidenzia più la qualità della quantità.
Il sistema si forma e si ristruttura continuamente in base ad una sua intrinseca coerenza, la cui finalità non è solo la sua sopravvivenza ma la ricerca di nuovi adattamenti ed interrelazioni con altri sistemi tendenti a diventare sottosistemi di sistemi ancora più complessi.

Michael Behe definisce la complessità irriducibile  “un singolo sistema composto da diverse parti interagenti e ben assemblate, che contribuiscono alle funzioni di base, nel quale la rimozione di una qualsiasi delle parti causa la cessazione dell’effettivo funzionamento del sistema.”
Questo fatto è riscontrabile in tutti i piani della fenomenologia esistenziale.

La complessità evolutiva

Nell’evoluzionismo, ad esempio, notiamo che la molteplicità cosmica si organizza gradualmente in sistemi più complessi per formare la cosmosfera, la quale prepara il terreno alla geosfera, supporto per la nascita della biosfera, dell’antroposfera fino alla noosfera.

Dalla cosmosfera all’antroposfera gli spazi si riducono, ma aumenta la complessità che conduce fino allo psichismo. La coscienza, poi, sta preparando una super-coscienza che si evolve parallelamente al fenomeno della dematerializzazione che riscontriamo nel progresso tecnologico e comunicativo, finalizzato alla liberazione dei condizionamenti deterministici.

La complessità dell’atomo, della cellula e del cervello umano inducono al principio antropico finalista, altrimenti non si comprenderebbe il senso della loro specifica complessificazione.

Si osserva che minuscole cellule si complessificano ed interagiscono per formare tessuti ed organi, i quali formano un’unità corporea adatta a supportare una psiche sempre più consapevole in rapporto all’interazione con altre coscienze.
Da qui si deduce che l’uomo cosciente è l’apice della creazione…

note:

« L’universo (e di conseguenza i parametri fondamentali che lo caratterizzano) dev’essere tale da permettere la creazione di osservatori all’interno di esso a un dato stadio della sua esistenza »
(Brandon Carter, c.d. Principio antropico forte)

“Principio antropico ultimo: “Deve necessariamente svilupparsi una elaborazione intelligente dell’informazione nell’universo, e una volta apparsa, questa non si estinguerà mai.”