Amo sentir russare

    Non c’era verso che potessi addormentarmi dividendo la camera con qualcuno che russava.
    Ho provato varie volte ma, anche se debole, quel “russo” era un tormento. Sapendomi tanto sensibile, l’amico Luigi mi raccontò come lui avesse superato splendidamente la mia stessa difficoltà. Aveva provato in tutti i modi a condividere la stessa stanza; si era procurato i tappi che, se per un verso gli toglievano il rumore esterno, dall’altra gli rendevano fastidioso il suo stesso respiro.
    Qualche anno fa, saputo il nipote affetto da una malattia causa di una terribile insonnia, è corso in famiglia per portare aiuto e alleviare la sorella.
    Il dramma era che nessuno dormiva per la tensione creata dall’insonnia del nipote. Il medico ripeteva che l’importante era riuscire ad addormentare il ragazzo; solo facendolo dormire gli si assicurava la guarigione.
    Quante notti passate a vegliare in questa attesa. Finché, una notte, all’inizio debolmente, ma poi sempre più forte, lo si poté sentire russare. Una melodia! Quel russare, in genere considerato tormento, nel caso del nipote diveniva sollievo, gioiosa consapevolezza di guarigione.
    Ecco il segreto: ascoltare con simpatia quel “rumore” trasformato in musica, grazie al racconto di Luigi, mi sono addormentato anch’io. Ormai amavo quel fastidioso rumore che prima era un tormento, perché amavo quel prossimo che avevo accanto.

Beethoven sordo

Beethoven ha composto musiche che tutto il mondo conosce, gusta ed apprezza. Ma ciò che sorprende è che l’Inno alla gioia, famoso finale della nona sinfonia, l’ha composto proprio quando era completamente sordo. Metteva le dita sulla tastiera, pizzicava il violino, non udiva niente, ma “sentiva” tutto.
Quell’Inno alla gioia è stato composto non direi “nonostante” la sua sordità, ma proprio grazie a questa menomazione che ha ingigantito la sensibilità e ha elevato la capacità espressiva del suo genio musicale. Non udiva con le orecchie, ma sentiva con lo spirito. Da questa strettoia è uscito un capolavoro.
È, del resto, ciò che accade all’acqua del lago. Lasciata liberamente scorrere fuori dagli argini, è causa di dannose alluvioni; ferma e statica, non produce nulla. Molte volte invece viene incanalata, privata della sua libertà e costretta in una conduttura forzata dove non vede la luce del sole. Proprio in queste condizioni di totale privazione, acquista la capacità di sprigionare luce ed energia che rallegra e benefica intere regioni.
Si comprende allora il senso dei prolungati e faticosi esercizi che ogni atleta è chiamato a ripetere tutti i giorni e per più ore al giorno, le ferree diete del pugile per stare al peso forma, le ore che la ballerina deve passare volteggiando e piroettando sulla piattaforma per raggiungere la maggior espressività ed eleganza. Quanto sudore per preparare la grazia d’un volteggio, la scioltezza d’una piroetta. Sono vere le parole del poeta: “Seggendo in piume, a gloria non si vien, né sotto coltre”.
È questa la risposta al perché delle mortificazioni, della penitenza e dell’ascetica cristiana che plasma i campioni del vangelo e dona loro quell’agilità nell’amare sempre, comunque e con gioia ogni prossimo: li trasforma in atleti capaci di offrire un vero spettacolo davanti a Dio e agli uomini; tanto che la Chiesa li riconosce degni della “gloria del Bernini”.

Chiasso o preghiera

    Una sera, proprio durante l’ora di preghiera, nella nostra chiesa, sono stati chiamati alcuni operai e muratori ad aggiustare una parete.
    Contemporaneamente due cori: i religiosi che riempivano le navate della chiesa con la loro voce, impegnati a cantare i salmi; gli operai che dovevano trapanare, piallare, martellare, schiodare, inchiodare. Chiassosa in chiesa la preghiera dei religiosi, o chiassosi gli strumenti degli operai? Quali dei due “cori” faceva orazione  e quali le preghiere più valide davanti a Dio?  
    Gli operai forse disturbavano i religiosi con il loro chiasso, o forse facevano orazione col rumore degli strumenti del loro lavoro. Chi disturbava di più? Chi pregava meglio? I religiosi forse disturbavano gli operai col rumore gutturale dei loro canti.
    Chi pregava meglio, di più? Facilmente tutti, in modo diverso, pregavano stando in comunione tra loro.
    Al Cielo arriva comunque la preghiera che parte dal coro dei cuori: non importa se  espressa dal canto dei salmi o dal chiasso del trapano, della pialla, del martello.
    Dio unicamente non tollera il chiasso assordante di preghiere espresse senza l’accordo di cuori.

Concerto conventuale

    Questa mattina, due passi nel giardino del convento mi consentono di contemplarne la coralità di vita.
    Aldo è sull’altare del santuario a celebrare la Messa, mentre Pierangelo con il secchio sta portando il mangime atteso da una decina di galline e da altrettanti colombi.
    Angelo è in confessionale e sta distribuendo con il cuore di Dio la misericordia richiesta dalle miserie umane, mentre Alessandro accudisce amorevolmente l’anziano confratello, come la mamma con il suo bambino, bisognoso di essere pulito e lavato.     Alberto sta raccogliendo le offerte dei fedeli, mentre Gaetano, l’economo della casa, al mercato con avvedutezza le spende per il sostentamento della famiglia religiosa.
    Pio si dà allo studio della patrona del santuario, mentre Damiano e Giacomo, nell’ ufficio parrocchiale, sbrigano documenti e preparano i fidanzati a formare una famiglia cristiana.
    Stefano ripassa i canti e l’omelia della liturgia domenicale, mentre Andrea sta descrivendo come normalmente si svolge la vita corale dei componenti la famiglia religiosa.
    Che c’è di straordinario?
    L’intonazione della famiglia religiosa parte dalla preghiera corale che ci mette in comunione tra noi e con Dio, rendendo così straordinario ogni servizio fatto per amore e richiesto dalla volontà di Dio: maturare tra i membri la comunione  fino all’unità.

Concerto e sintonia

    Ogni sera, al tramonto, o al mattino, all’alba, mi avvicino al canneto di casa mia: ogni sera, ogni mattina, m’accorgo che al tramonto e al levar del sole centinaia e centinaia di uccelli cantano e cinguettano in coro allegramente. Non senti qualcuno in particolare, ma li senti tutti in coro.
    Non sai cosa dicono, ma t’accorgi che si dicono cose allegre e gioiose. Si raccontano, forse, le esperienze della giornata, e in coro lodano Dio.
    T’avvicini: tacciono, perché non tutti, forse, possono ascoltare i loro segreti.

Dallo schianto al canto

“Perché, Redi? Perché, perché? Il dolore è troppo grande!  Perché?!…Aiutatemi! Temo di non farcela!”
Queste parole mi sono arrivate nel cellulare, ieri mattina con un trillo che mi ha richiamato l’attenzione. Le leggo, le rileggo. Ma al momento non le capisco; o meglio non riesco a riconoscere né il fatto, né le persone nominate.
Appena posso, dopo un’ora, mi confronto con amici. Ab
biamo insieme ricostruito. Si era compiuta, da poco più di due ore, la tragedia di un
a mamma.
Alle sette di quella mattina, aveva appena finito di preparare con cura particolare la colazione al figlio particolare, per il quale da sempre sognava e si augurava un avvenire  particolarissimo. La sveglia del figlio che dormiva nella stanza accanto, suonava invano.
Lo schianto d’una mamma andava di pari passo con la fortuna del figlio. Mi piace esprimermi da cristiano che si lascia inebriare dalla fede. Conosce e comprende l’assurdo umano espresso nel massimo del dolore che è in rima col massimo dell’amore.
Quel crudo dolore della mamma consacra la fortuna del figlio che è stato strappato agli affetti umani più grandi. Perché?
E’ stato chiamato e promosso a realizzare il più bel sogno che ogni credente tiene gelosamente nascosto nel cuore: passare dal calore della mamma della terra all’abbraccio senza fine del Padre del cielo; ringraziare chi gli ha donato di respirare in una famiglia dalla quale, nell’ora da Lui solo saputa, è strappato con uno schianto per andare a “godere dell’Eterno il canto”.

Diapason

 
   Ad una cena per artisti si è parlato d’un concerto in preparazione, al quale sono stato invitato anch’io per la presentazione di brani scelti dai miei libretti.
    Accanto al piatto dell’amico direttore d’orchestra, era poggiato il diapason, di cui, sorseggiando, si è parlato.
    Il diapason in musica indica comunemente uno strumento che genera il “là”, la nota dominante. E’ utilizzato per accordare gli strumenti d’un’orchestra e per armonizzare le diverse voci che compongono un coro, tanto da essere detto anche corista.
    Lo vedevo spesso in mano al mio insegnante di canto. Nell’accordare un’orchestra, il direttore prende il “là” dal diapason per trasmetterlo al primo violino che, a sua volta, suonando, lo dona a tutti gli strumenti orchestrali per accordarli.
    A bruciapelo, senza apparente nesso logico, un artista mi chiede che cos’è e a che serve la vita consacrata nella chiesa.
    Mi è venuto spontaneo rispondere che la vita consacrata è il diapason che suggerisce la giusta nota per l’orchestra della vita cristiana.
    Nel coro dell’umanità potranno accadere stonature, tensioni che tendono a seminare disaccordo nel popolo di Dio.
    Ma si potrà sempre ricorrere al diapason dei consacrati, specialisti di comunione,  chiamati a tenere alta la nota dominante dell’amore reciproco a cui tutti, sposati o non sposati, nelle varie vicende e nelle diverse vocazioni della vita possano intonarsi.
    

Due ali in Armonia

Guardo un’aquila che vola,
maestosa batte l’ali.
Più va in alto, più risplende.
Mi sorprende come sale:
son due ali in armonia.
La tua vita è una salita;
la vittoria è sulla vetta.
Tu sei l’aquila che vola,
se concordia è la tua vita,
se armonia ne è bellezza.
È la forza ad ogni passo
ed è sole al panorama,
è tripudio d’ogni fiore.
Sì, l’accordo è già conquista,
Son due ali, ed un sol volo.
Ed è pane quando hai fame,
ed è veste quando hai freddo;
è la chiave per entrare,
ed è casa da abitare,
l’armonia delle tue ali.
Perchè soli non si mangia
e da soli non si beve,
e da soli non si entra;
tu lo sai: nessuno sale
senz’accordo delle ali.
Le tue ali in armonia
come aquila tu muovi
se è Gesù che ami e servi
quando il prossimo soccorri.
Questo volo è già la vetta.
Le tue ali allor son festa;
chi ti guarda, ammira e canta:
è nel ciel la mia dimora,
è nel sole il mio respiro,
sol l’amor è casa e festa.
           
Gioco delle bottiglie e armonia

Un giorno ho partecipato ad un gioco: il gioco delle bottiglie. Vengono chiamate otto persone; a ciascuna è consegnata una bottiglia vuota; a nessuno viene spiegato il gioco: ci si deve fidare del capogioco. Ognuno guardava la propria bottiglia vuota e si domandava a cosa sarebbe servita: senza dubbio vi avrebbero messo dentro del liquido, ma nessuno ne sapeva né la qualità né la quantità.
Arriva il capogioco con un secchio d’acqua: si fa presentare la prima bottiglia; la riempie quasi del tutto, poi, via via, le altre, ciascuna in misura diversa, ma diminuendo sempre. L’ultima bottiglia risulta quasi vuota. Ciascuno si chiedeva il perché di tale differenza. Gli ultimi si lamentavano per la scarsità d’acqua nelle loro bottiglie, mentre i primi si inorgoglivano per la maggior quantità ricevuta. Insomma i membri del gioco, per un motivo o per un altro, stavano perdendo la pazienza e la pace: il capogioco, secondo loro, aveva mancato di giustizia nella distribuzione: volevano tutti una misura eguale, un eguale quantità d’acqua: questa sarebbe stata per loro la pace.
Dopo un pò il capogioco dispone gli otto giocatori in ordine; prima chi ha ricevuto meno acqua, poi, su, su, fino a chi ne ha ricevuto di più. Mistero: tutti in attesa di scoprire il significato di una simile manovra.
    Il capogioco li invita a soffiare ciascuno nella propria bottiglia: ognuno si accorse allora che la propria bottiglia emetteva un suono. Esorta poi ciascuno a suonare individualmente in ordine crescente e decrescente, e già si cominciò a capire qualcosa: alla fine chiese attenzione, esigendo che suonassero a due a due, a tre a tre alla volta, secondo il ritmo da lui richiesto. Ne uscivano accordi piacevolissimi: non si notava più il suono dell’uno o dell’altro, ma un accordo perfetto.
Ciascuno capì finalmente perché aveva ricevuto diverse quantità d’acqua, ciascuno era contento che la sua bottiglia emettesse quel tale suono, diverso dagli altri, ma che unito agli altri formava un coro armonioso.
    All’armonia del coro ogni bottiglia risultava ugualmente necessaria, perché solo quella aveva quel dato suono. È bene guardare alle differenze solo per cogliere ciò che Dio vuole nell’armonia del cosmo.

Il cielo è sempre più blu

     “Sempre peggio”, era l’antifona quotidiana del nonno che mi ripeteva la sua disperazione: “Non c’è verso che la vada bene”.
    A queste espressioni tutte al negativo, avevo il mio bel da fare a cercare di  raddrizzarle: “Nonno, i saggi dicono che “il domani è sempre migliore dell’oggi” – “Ci sono e si vedono guerre e nefandezze ma viviamo un saliscendi proteso al meglio”.
    Scuotendo la testa, sembrava dicesse: “Vorrei avere la tua fede cocciuta e ricca di speranza contro ogni speranza”.
    Ma da quando la mia fede ha cominciato ad andare oltre a quanto si vede o si tocca, le mie certezze le vedo chiudendo gli occhi, le tocco andando al di là di ogni apparenza negativa. Mi ripeto: “E’ tutto e sempre amore di Dio che non può non amarmi, non può non amarti.”
    “Ma il cielo è sempre più blu” è il titolo d’una canzone che ho appena ascoltato con particolare interesse, come confe
rma alla mia certezza. Stiamo vivendo giorni di degrado assoluto della politica nazionale e internazionale, “ma il cielo è sempre
più blu”; il papa denuncia scandali e degrado morale tra il clero, “ma il cielo è sempre più blu;  si vedono città sommerse dai rifiuti, “ma il cielo è sempre più blu”;  si moltiplicano le guerre tra fratelli, “ma il cielo è sempre più blu”;  un andirivieni disordinato e caotico di notizie tutte al negativo; ma con il tuo cuore, Rino Gaetano, e con tutta l’umanità voglio sempre cantare: “Ma il cielo è sempre più blu”.


Il disaccordo è inferno

    Fabiano e Zita, marito e moglie, amanti della montagna. Sono i protagonisti di questo racconto che mi ha insegnato la preziosità dell’accordo.
I nostri due, come tante altre volte, si preparano e partono per una gita in montagna. Riempiono i due zaini delle cose appartenenti all’uno o all’atra indifferentemente.
    Questo non aveva mai comportato nessuna difficoltà. Già in montagna è regola andare sempre insieme.
    Ma quel giorno, fatti un centinaio di passi, si trovano ad un bivio.
“Andiamo alla “Punta Ces”! – tagliò corto Fabiano con un tono di chi è abituato a comandare e che non ammette replica alla moglie.
“No!” – rispose seccata Zita- “siamo ormai d’accordo di camminare fino al rifugio Tognòla”.
    Si fermarono tutt’e due. Ne nacque una tale discussione, che una decise per il Tognòla e l’altro per la Punta Ces.   
Ma il sentiero scelto dall’uno a dispetto dell’altro divenne faticoso non solo per la ripidità della salita, ma soprattutto per la “fatica mentale” di escogitare ragioni a favore della propria scelta. Una scelta che, per quanto si affannassero a ritenere ragionevole e ovvia, si rivelava ad ognuno dei due, insensata e amara.
Ciascuno arrivò alla meta. Zita non mangiò nulla quel giorno perché i suoi panini erano nello zaino di Fabiano; ma si sdraiò sull’erba, accanto al rifugio.
Con gli occhi immersi fra densi nuvoloni, forieri di un imminente temporale, ormai non cercava più argomenti per avere ragione, ma cominciò a sperare, direi, a pregare che si verificasse al più presto l’occasione in cui fare la pace con Fabiano.
    A Fabiano, l’incantevole panorama, una corona spettacolare di cime, di vette non diceva più nulla. Una tempesta di motivazioni, di argomentazioni contrastanti si agitava dentro di lui.
    Avvertiva solo l’urgenza di cercare o creare l’occasione di incontrare la moglie. Si spaventò perfino quando, leggendo dentro di sé, si accorse che il suo tesoro inseparabile di poche ore prima, improvvisamente era diventata, paradossalmente, la nemica della giornata
    Tornarono al più presto tutt’e due. Fu accordo pieno e fu paradiso ritrovato.

Il flautista e la figlia del re

In un regno lontano viveva una principessa triste. Trascorreva le giornate standosene appartata; non c’era niente che la facesse uscire dalla sua apatia.
    Invano il re suo padre aveva escogitato modi per ridarle il sorriso; alla fine pensò di proclamare un bando per cercare qualcuno che potesse far sorridere la principessa. Non ci fu suddito di quel reame al quale non fosse letto il proclama del re.
    Il primo a presentarsi fu un abile giocoliere; poi un giullare.
    Fu la volta poi di un buffone. Ma per quanto bravi, originali e divertenti, nessuno di loro riuscì a far sorridere la principessa.
    Fu allora che si presentò un vecchio flautista. Il re pensava:” Come può questo sconosciuto riuscire là dove artisti più famosi hanno fallito?”.
Il flautista cominciò a suonare, sotto lo sguardo un pò scettico dei presenti, una musica dolcissima.
La figlia del re si mise ad ascoltare: era la prima volta da tanto tempo che qualcosa destava il suo interesse. E dopo poche note…un sorriso fiorì sulle sue labbra.
    “Questo è il giorno più felice della mia vita – disse il re – bisogna far festa, una grande festa!”.
Da quando il flautista era arrivato al castello, la figlia del re aveva trovato la gioia di vivere.
    Ma un giorno il flautista suonando, si accorse di non sentire bene le note che uscivano dal suo flauto.
Disperato, riprese a suonare pensando di essersi sbagliato. Le note che uscivano dal flauto sembravano lontane come venissero da un altro salone del castello. Era inutile continuare: non ci sentiva più. Guardò un’ultima volta, pieno di amarezza e di nostalgia, il suo flauto, poi lo lasciò in un angolo e uscì nella notte.
    Errando, per le viuzze del paese, in quel silenzio, e nel silenzio ancor più grande che era dentro di lui, pensava alla sua vita che ormai non aveva più senso. Ma forse era solo un brutto sogno! Pieno di affanno tornò al castello, salì nella sua stanza a prendere il flauto, provò…No, il silenzio lo avvolgeva…tanto che non si accorse che la principessa gli si era avvicinata e lo guardava triste.
    Allora una luce si accese nei suoi occhi, prese il flauto e cominciò a suonare. Lui non sentiva niente, ma le note che uscivano dal suo strumento riportarono il sorriso sul viso della principessa. Ed era per lui questa un’altra musica che solo il suo cuore poteva udire.
    Da quel momento, anche se non sentiva più, avrebbe continuato a suonare per fare felici gli altri.


Il protagonista

    Molto prima dell’alba, come ogni mattina, il gallo si sveglia. E’ perfettamente convinto che tutti aspettino il sole, ma non prima del suo canto. Il sole non può sorgere prima del suo insostituibile chiricchichì. Da secoli è comune modo di dire: “Mi sono svegliato al canto del gallo”, per intendere “prima che sorga il sole”.
    Il nostro protagonista del “far del giorno”, appena sveglio, dà un’occhiata in giro e gode il profondo silenzio dell’ultima parte della notte. Si convince sempre più che tutti, da tutta la notte e tutti i giorni, aspettano il suo canto. Ma è sommamente persuaso che se lui, con il suo do di petto, non chiama il sole, il giorno non incomincia.
    E’ l’ora sua. Si sgranchisce zampettando, saltellando. Si assesta le ali, gonfia energicamente il petto, inspira l’aria a pieni polmoni, come fa ogni grande tenore che si esibisce all’Arena
    Quella mattina da quella gola, non un fil di voce, non un minimo suono ma solo rumore di gola strozzata, quasi un rantolo.
    Tenta e ritenta. Nessuno s’accorge del suo fallimento Solo lui che affranto corre all’interno, dalle galline ancora appollaiate: “Mi spiace per voi: questa mattina il sole non sorgerà perché, senza voce, non posso cantare”.
    Il pollaio, con al centro il gallo, si trasforma in un pianto sconsolato di galline che s’addolorano con lui.
    Ma mentre ancora s’attardavano a cercare parole per consolarlo e rianimarlo  dalla cocente umiliazione, come tutti i giorni spuntava, puntuale, silenzioso e potente, il primo raggio di sole per cantare al gallo e a tutti noi: “Il protagonista, creatore del giorno  sono io. Non avrai altro “sole” fuori di me”.
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;  Tutti siamo utili, ma nessuno è indispensabile

Il tenore

    Tenore significa: colui che tiene; tiene il tema, l’ossatura dell’armonia. E’ colui attorno al quale giocano e si intrecciano tutte le altre voci dal basso, al baritono al soprano, al contralto. Voci che fanno corona alla voce portante.
    Il motivo base è sempre lo stesso, ma si snoda, si sviluppa e si spiega in mille sfumature, dette appunto “variazioni sul tema”.
    La bellezza e la continua novità del tenore è la cornice sempre variante grazie alla fantasia e al rincorrersi delle altre voci.
    Il vangelo è sempre quello, il cristiano fin dal battesimo è chiamato a rivestirsene, a farlo sua vita e testimoniarlo da vero tenore nella sua essenzialità.
    Tutte le altre espressioni della vita possono essere vere e vitali se affiancano ed esprimono il tema del divino compositore, lo Spirito Santo, che abbellisce la sua chiesa con la fantasia dell’Eterno Innamorato dell’uomo.
    Varietà di espressioni sostenute e illuminate dal motivo base del tenore: fondato, cioè, sulla fedeltà dell’amore di Dio. L’ uomo è chiamato ad amare perché amato da Dio; le altre mille espressioni nella chiesa sono variazioni che danno bellezza e ricchezza a quest’unico tema.
    La vocazione cristiana è chiamata appunto a fare da tenore, a tenere alta la parola di vita, a tenere accesa la luce in casa perché tutti vedano dove mettere i piedi; a tenere la nota della misericordia nella quale ricominciare il canto eventualmente interrotto. Mentre nel cielo anche le mille nuvole nere inondate dal sole del perdono, cantano senza fine l’inno della riconoscenza
    Il tenore canta il tema: santo, santo, santo; mentre, pieni della sua gloria, i cieli e la terra in armonia formano il coro: è l’osanna eterno.
    .
L’armonia della vita

    Le composizioni musicali che ascoltiamo ci aiutano a meditare sulla complessità della vita e sulle piccole vicende quotidiane.
    Ogni giornata è un intreccio di gioie e dolori, di speranze e delusioni, di attese e sorprese, che si alternano in modo movimentato e destano nel nostro intimo le domande fondamentali sul “da dove”, sul “verso dove” e sul senso vero della stessa nostra esistenza.
    La musica, che esprime tutte queste percezioni dell’animo, offre all’ascoltatore la possibilità di scrutare come in uno specchio le vicende della storia personale e di quella universale.
    Ma ci offre ancora di più: mediante i suoi suoni ci porta come in un altro mondo. Rapiti, in un clima di armonia e di pace, siamo in grado di vedere, come da un punto elevato, le misteriose realtà che l’uomo cerca di decifrare e che la luce della fede ci aiuta a meglio comprendere.
    In effetti, possiamo immaginare la storia del mondo come una meravigliosa sinfonia che Dio ha composto e la cui esecuzione Egli stesso, da saggio maestro d’orchestra, dirige.    
    Anche se a noi la partitura a volte sembra molto complessa e difficile, Egli la conosce dalla prima fino all’ultima nota. Noi non siamo chiamati a prendere in mano la bacchetta del direttore, e ancora meno a cambiare le melodie secondo il nostro gusto.
    Ma siamo chiamati, ciascuno di noi al suo posto e con le proprie capacità, a collaborare con il grande Maestro nell’eseguire il suo stupendo capolavoro. Nel corso dell’esecuzione ci sarà poi anche dato di comprendere man mano il grandioso disegno della partitura divina.

La corale e l’organo

In una chiesa di Roma assistevo tempo fa ad una cerimonia solenne: l’inaugurazione dell’organo. Per l’occasione era stato chiamato il prof. Testoni, uno dei più prestigiosi organisti, per dare fiato al pregevole strumento e rivelarne tutta l’espressività, ma soprattutto per accompagnare e sostenere la corale della parrocchia alle sue prime armi. I coristi erano tutti in splendida divisa come si conviene nelle occasioni più solenni; una corale numerosa che normalmente si esibiva a voci scoperte.
Quella sera, però, ci fu qualche problema che portò un grosso fastidio tra gli ascoltatori. Alla terza esecuzione il coro cominciò a calare. Ne derivò uno stridore insopportabile tra la perfezione della nota dell’organo e il continuo calare delle voci della corale.
Gli ascoltatori erano al limite della sopportazione, ma soffriva soprattutto l’organista che per sostenere i cantori accentuava e irrobustiva l’esattezza della tonalità. Una specie di duello lancinante che evidenziava l’incompatibilità dell’organo con la corale. L’organo non poteva abbassare: la nota era quella; e neppure la calante corale riusciva ad intonarsi: debole era la sua capacità.
Tra i due inconciliabili contendenti, chi far tacere?  Il responsabile della serata preferì richiamare il prof. Testoni e  decise, assurdamente, di far tacere l’organo. E così la corale fu libera di cantare come le era possibile, cioè calando, ma senza gli stridenti contrasti evidenziati dal confronto con la perfezione dell’organo.
Strana cosa far tacere l’organo, il protagonista della serata. Perché – ecco l’accusa – evidenziava troppo la debolezza e la impreparazione della corale. La serata si concluse con la sola corale a cui alla fine il pubblico concesse anche l’applauso.
L’umanità, dal peccato originale in poi, ha cominciato a stonare e calare di tono. Dal cielo, nella pienezza dei tempi, è stato mandato Gesù con l’incarico di riarmonizzare, accordare, sostenere. Non è riuscito. Mentre intonava il canto del cielo, nascevano e crescevano i contrasti della terra, fino al “crocifiggilo”. Lui, la luce vera, non è stato accolto dalle tenebre. Si è sentito rifiutato dal “mondo tutto nel maligno” con queste parole: “Sei venuto a rovinarci?”.
I responsabili del popolo l’hanno estromesso. “I suoi non l’hanno accolto”. Il preciso intento era di far tacere la voce del vangelo, il diapason divino, che strideva a tal punto con l’umana presunzione da suonare bestemmia alle loro orecchie.
L’hanno messo in croce. Ma proprio dal Calvario esce la voce che intona il canto della vita e della resurrezione; è la voce dell’amore vero, visibile e credibile perchè crocifisso; il diapason dell’amore più grande: dare la vita; è il canto polifonico dell’armonia trinitaria, è la forza incontenibile della infinita misericordia che attira tutti a sé, fino a comporre le varie voci dell’umanità nella corale della famiglia di Dio.


La sinfonia della vita

    Dopo un concerto eseguito in suo onore, papa Ratzinger ha detto parole stupende nel paragonare la vita del cristiano a un intreccio di note musicali, a una sinfonia che ti porta a meditare sulla complessità della vita e a gustare l’armonia anche delle piccole vicende quotidiane.
    La vita è vista come un intreccio di gioie e dolori, di speranze e delusioni, di attese e sorprese, che si alternano in modo movimentato e che destano nel nostro intimo le domande fondamentali sul “da dove”, sul “verso dove” e sul senso vero della stessa nostra esistenza.
    La storia del mondo è paragonata a una meravigliosa sinfonia che Dio stesso ha composto e di cui di
rige l’esecuzione da saggio maestro d’orchestra. La partitura
a volte ci sembra molto complessa e difficile, ma siamo incoraggiati a perseverare per il fatto che Egli la conosce dalla prima fino all’ultima nota.
    Siamo spesso tentati a prendere in mano la bacchetta del direttore, per cambiare le melodie secondo il nostro gusto. Siamo invece chiamati, ciascuno di noi al suo posto e con le proprie capacità, a collaborare con il grande Maestro nell’eseguire il suo stupendo capolavoro. Il grandioso disegno della partitura divina ci sarà poi man mano rivelato nel corso dell’esecuzione e definitivamente al termine.
    E’ detto che l’arte del cantare è propria dell’Amore. Chi è l’Amore se non Dio? Se stiamo nell’Amore, in comunione cioè tra noi e con il divino direttore, siamo coinvolti e travolti in una trascendente sinfonia d’amore capace di consolare e rallegrare il mondo.

Le foglie, cosa dicono

Guardavamo alla televisione il Papa in visita a Cuba. Uno di noi ha esclamato: “Dove va il Papa, c’è sempre “il vento”. Lo si nota dal turbinio delle foglie sulla strada che il S. Padre sta percorrendo. Un altro ha commentato: “Questo Papa gira molto perché è in balìa del “soffio” dello Spirito Santo”. E io mi ritrovo a fantasticare sulle foglie e su tutto ciò che esse possono raccontare. Le tenui foglioline che colorano di verde gli alberi a marzo, dicono a tutti che la  primavera ha acceso e fatto esplodere la vita. É proprio una resurrezione; una pasqua. Il verde della foglia è vita; la sua vibrazione un canto.
Le foglie che in autunno vedo abbondanti sulla strada, mi dicono anzitutto la generosità dell’albero che ha donato tutto: fiori a primavera, frutti in estate; in autunno tutte le foglie; tutte, proprio tutte, fino all’ultima; d’inverno, la sua legna per riscaldarci e per l’utilità dell’uomo.
La foglia che cade danzando leggera, mi invita a invecchiare con gioia, nella consapevolezza che, staccandosi dal ramo, si va a finire nei pressi della radice che ci segnala la profondità delle origini e la solidità della roccia su cui è fondata la vita.
    Attraversando un bosco in autunno, quel turbinio di foglie staccate dal vento, non ti pare che siano un segno di festa al tuo passaggio? Non sono quelli i coriandoli di Dio?  E quel tappeto variopinto di foglie, frusciante e canoro sotto i tuoi piedi non l’ha forse steso chi, nella sua fantasia da innamorato, ti voleva ancora una volta segnalare quanto sei importante per Lui? E voleva anche dirti che, come Lui ti tratta da figlio, così tu tratterai da fratello chi ti vive accanto.
D’inverno, camminando sulla neve, ho notato un particolare molto significativo: una foglia gialla, secca, ritenuta già morta, caduta sulla gelida neve, ha avuto ancora la generosità di sprigionare l’ultima sua caloria attorno a sé, tanto da sciogliere quel pò di neve su cui è arrivata. Mi richiama alla mente le parole di Giovanni della croce: “Se dove cadi trovi solo il freddo della neve, sprigiona senza esitazione tutto il tuo calore, anche se ti sembra poco, e attorno a te donerai tepore e scioglierai la neve.”
Si dice, che la foglia “cade”; ma è più vero che, finito il suo servizio sul ramo, si stacca per correre a ringraziare chi le ha dato la vita: si adagia sulla radice per proteggerla, riscaldarla e ripararla dal gelo invernale. La foglia ama la radice tanto che decomponendosi, sciogliendosi, si fa concime, nuovo alimento dell’albero che, anche grazie a lei, frutterà nella nuova primavera, nuovi fiori, nuove foglie e nuovi frutti. Questo annullarsi per amore è adorazione.
    E che dire di quella foglia che solitaria è stata sollevata in alto, in alto dal vento, quasi rapita dal cielo a formare la nota più alta d’un coro. Su quel rigo, oltre le nubi, si snoda un concerto formato da altre foglie che assieme a lei e in momenti diversi, si sono concesse a quel “soffio”. Preziosa  e rara disponibilità! Disponibili  al “vento”, concordi fra loro: è l’armonia. Obbedienti alle vibrazioni e ai gorgheggi del vento, le foglie vestite dalla fantasia dell’iride, si rincorrono a diverse altezze e con graziosi volteggi.        
    Allora quel “soffio”, dando vita alle foglie e liberandole ai suoi cenni, dà visibilità alla vita del cielo; quel “soffio” è il divino compositore e direttore d’orchestra che non solo fa danzare e cantare le foglie, ma, in cosmica armonia, “muove il sol e l’altre stelle.”

Le risonanze

    Angelo, diplomato in organo al conservatorio, esprime pienamente la sua conoscenza musicale seduto davanti alla tastiera.
    Eravamo in treno, e gli  confidavo la passione che mi fa scrivere le meraviglie del banale quotidiano. Dopo aver letto alcune pagine le definisce “risonanze armoniche”.
    Perché io riesca a comprendere meglio, aggiunge: “A casa, ti mostrerò in pratica questo fenomeno musicale. Ne avrai da scriver quanto vorrai”.
    Infatti mi conduce davanti alla tastiera del pianoforte: “Ora capirai, senza tante parole, cosa sono le risonanze armoniche: saranno motivo d’infiniti spunti per le “risonanze” dei tuoi libretti.
    Mette le dieci dita delle mani sulla tastiera, premendo delicatamente i tasti corrispondenti, senza produrre il suono; quindi, mi dice di percuotere decisamente un tasto determinato. Mi fa ripetere, ancora, lo stesso gesto invitandomi ad ascoltare attentamente.
    Come!!??!! Ho percosso un solo tasto del pianoforte e ho creato un mondo di  suoni; un solo suono produce altri suoni. Un insieme gradevole di sensazioni sonore! “Sono gli armonici – mi spiega Angelo – cioè suoni che entrano in vibrazione per simpatia con il suono da te prodotto. Io ho permesso soltanto il formarsi di un certo tipo di risonanze, di un accordo perfetto, al fine di creare un’armonia e non una confusione di suoni”.
    Corde sonore, ho pensato, libere per entrare in risonanza e moltiplicare a propria volta il suono, creando un’armonia: le risonanze armoniche!
    Ognuno di noi è una corda creata per essere libera e totalmente disponibile alla volontà del Creatore, così da risuonare insieme alle altre nell’armonia che Lui ha predisposto per la famiglia umana.


Midori

Salgo in treno e mi siedo al numero 21 della carrozza 9. Avevo prenotato quel posto. Poco dopo si sedette accanto a me una ragazza giapponese che subito aprì un grosso volume di musica e con le dita accennava a movimenti come di chi sta scorrendo una tastiera.
Lei, di religione luterana, era in Italia per corsi di specializzazione in pianoforte.
Alla prima fermata sale un signore che, dopo aver scambiato con lei alcune parole, la saluta chiamandola Midori e scende rapidamente prima che il treno riparta. “È il mio nuovo professore di pianoforte; ne ho cambiati tanti di insegnanti – mi confida la giovane – ma ho scelto questo perché è uno che mi dà fiducia: non parla molto, ma fa bene il suo lavoro, è un vero artista. I più invece tengono dotte lezioni sulla musica, fanno lunghi discorsi, spendono molte parole per esprimere idee fumose e peregrine”.
Con il mio sguardo, più che con le parole, le chiesi di spiegarmi più chiaramente quel “mi dà fiducia perché parla poco, ma fa”.
A questo punto si fa riflessiva e sorridendo mi dice che lei non gradisce frequentare chi parla molto; non ha bisogno di idee sulla musica, ma ha bisogno d
i incontrare veri professionisti, attivi, capaci e stimati nella l
oro arte. Solo quando ne trovo uno – continua Midori – gli chiedo come fa ad essere così bravo, qual è il segreto della sua riuscita. Assisto quindi a qualche suonata e imparo molto di più guardando e ascoltando un’esecuzione musicale che udendo lezioni e parole sulla musica.
La ringrazio e mi metto a sorridere per farle capire che questa sua confidenza mi suggerisce un prezioso insegnamento per la mia vita di sacerdote. “Io devo spesso parlare di Dio, del vangelo. Devo insegnare a vivere la vita cristiana. Tu mi rinfreschi la lezione che Gesù, col suo comportamento, ci ha lasciato. Prima di insegnare ha fatto, ha vissuto. Anzi lui non dice parole, è la Parola; parola che tale non è se non è vita; “Parola di Vita”, anzi Vita della parola.
Ho tentato inutilmente e molte volte – le confido con un paragone banale- di invitare gli altri a mangiare la “bistecca” che vendevo, ma che non mangiavo. Coloro che mi ascoltavano si sono decisi a comperarla e a mangiarla solo quando mi hanno visto con la faccia rubiconda.”
“È vero – conferma lei sorridendo – Per indurre a bere un asino restio bisogna metterlo di fronte ad un suo simile che beve avidamente.”

Mille voci, una voce

    In chiesa ho ascoltato questo scambio di battute tra due religiosi: Uno dice: Certamente per me è difficile celebrare la messa, nel dovuto raccoglimento, mentre risuona il rumore della recita dei salmi.  E l’altro subito replica che anche per lui è difficile recitare i salmi, senza distrarsi, mentre dall’altare vicino gli giunge rumoroso il vocio di chi celebra la messa.
    A poca distanza dai due interlocutori, m’accorgevo dal tono piuttosto severo che ciascuno dei due era sicuro di essere stato disturbato dal rumore degli altri.
    “Secondo me, intervenni, nessuno di voi due poteva disturbare; stavate tutti pregando. E chi prega è a colloquio con Dio, loda Dio, ringrazia Dio. Piuttosto chiederei: che cos’è il rumore?
    Per me il rumore è qualsiasi suono che ti colpisce in modo sgradevole. Non sempre il suono è sgradevole in sè, ma può diventarlo per chi non lo vorrebbe ascoltare.
    Noi insieme in coro, mentre salmeggiavamo, alternando salmi e versetti, godevamo di risponderci l’un l’altro e avvertivamo che è proprio bello e gioioso che i fratelli stiano insieme a pregare, cantare, salmodiare, studiare, lavorare o anche giocare, mangiare come stiamo facendo adesso insieme.
    A Dio arriva tutto come preghiera se, nel fare questo o quello, tutto parte da  un coro di cuori che si amano. Allora le mille voci arrivano a Dio in una voce, i mille cuori che si fondono in un sol cuore.
     

Non chiasso, ma musica

Un giorno la formica regina fu invitata alla festa della regina degli elefanti. Cercava come sempre, di farsi notare dai curiosi per le strade della città.
Nessuno guardava lei che pur avanzava con passo regale cercando inutilmente di pavoneggiarsi tra quei pachidermi che la scortavano, ma purtroppo la nascondevano.
Si aggirava là intorno un gruppo di formiche che, riconoscendo la loro regina, la andarono subito ad ossequiare. Furono feste, abbracci e baci. Si presero per mano, come non era mai accaduto e, scusandosi presso gli elefanti, andarono a banchettare nel più vicino formicaio del bosco.
In un batter d’occhio, la notizia della presenza straordinaria della regina si divulgò in tutti i formicai della zona.
Tra la sua gente, ricevette gli onori più gratificanti: venne festeggiata con danze, banchetti e musiche che nessun estraneo poteva né udire, né capire. Quella festa piena di gioia non aveva nulla da spartire con il chiasso assordante.
Solo abbandonando la bugiarda esteriorità, potrai entrare o rientrare nell’intimità di Dio e nella comunione dei fratelli godere delle piccole cose. Udrai e gusterai “voci, canzoni, poesie che tu senti se in te c’è il silenzio; incontrerai anime che sanno dire, per chi sa ascoltare, parole più vere”.
Non chiasso, ma musica; non parole, ma comunione; non feste, ma la festa senza fine.

Paradossi canori e vita cristiana

    Nella esibizione canora del Festival di Sanremo una canzone diceva:
    “… amore, eterna malattia, con te più sto bene, più sto male.” Perché? Perché amare una creatura è bello, però lascia insoddisfatti, in quanto la sete d’amore è infinita: Dio solo la può saziare, mentre la creatura no. “Venite a me voi che siete affamati e assetati ed io vi ristorerò. Chi ha sete, venga a me. Chi beve di quest’acqua non avrà più sete in eterno”.
    Un’altra canzone diceva: “giorno e notte, notte e giorno sono sempre con te. Tu sei vagabondo, e io sempre con te”.
    Ciò è umanamente impossibile; ma con Gesù è possibile, perché lo trovo sempre in me, sempre in ogni fratello, sempre in ogni dolore.

Perché tanto ritmo e concordia?

    Passai un giorno per la piazza di un paese dove notai una cosa molto strana: un gruppo di giovani ballava a ritmo, noncurante di qualsiasi altro rumore attorno a loro. Ma io non sentivo né musica ne ritmo. Sulle prime li giudicai gente strana, soprattutto perché un potente mangianastri diffondeva una musica con un ritmo ben diverso.
    Avvicinai uno di loro; chiesi: «Come mai tanto ritmo e concordia? Quale musica ascoltate?» Mi rispose che tutti portavano delle cuffie particolari e ascoltavano la stessa musica e non si lasciavano per nulla distogliere da altri rumori o ritmi.
    La esecuzione della stessa musica variava a seconda delle esigenze o pretese del partner al quale ciascuno prestava la massima attenzione.
    I cristiani sono “ballerini”. Gli altri, non sentendone la musica, li giudicano gente strana.
    Volano e girano con la snellezza degli innamorati perché amano e stanno al ritmo del fratello. Eseguono la danza dell’amore a Gesù. Sorridono a Lui presente in ogni fratello. Sorridono sempre perché lo vedono sempre, in ogni angolo buio o luminoso. Non si trascinano, né trascinano; ma si fanno uno col partner. Tutti risultano concordi. In America come in Asia, in Europa come in Africa e in Australia. Tutti sentono contemporaneamente la stessa musica che risuona nel loro intimo e il mondo non può intendere.
    A chiunque chieda rispondono che musica e spartito sono in cielo, ma riecheggiano in ognuno che col cielo viva in contatto.
    Cosicché in terra “si balla” come in cielo. “Sia fatta la tua volontà in terra come in cielo”. “Vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre che sta nei cieli”.

Quel mazzolin di fiori

    Quand’ero piccolo vedevo un mio cugino ventenne, tre volte alla settimana, terminato il lavoro della giornata, lavato, sbarbato e profumato, partire in bici con un mazzetto di fiori, fischiettando la nota canzone: “Quel mazzolin di fiori…”
    -Mamma, a chi porta quei fiori, Nicola? – li porta alla morosa…El ghe vol ben! Una sera portava le rose; un’altra i garofani. Ogni sera un mazzo di fiori diverso; ogni sera in una confezione diversa. Chi ama ha la fantasia fervida, non è mai ripetitivo. Anzi gli stessi gesti ripetuti tutti i giorni, più volte al giorno, ma dettati da amore vero, recano sempre la nota della sorpresa, della novi
tà, della creatività.
    Nel periodo delle vacanze ho passa
to alcuni giorni in alta montagna; ho avuto occasione con un amico di camminare nelle pinete, tra gli abeti, attraversare prati.
    Le montagne mi hanno, sì, incantato, ma  mi ha molto sorpreso la quantità e la diversità dei fiori che, ad ogni quota, accompagnavano i nostri passi. Ci attraevano particolarmente i fiori tra le rocce. Fiori di tutti i generi, di tutte le dimensioni.
    Ci ripetevamo, scherzosamente, ma profondamente commossi: “Chi ha seminato questi fiori? Per chi se non per te e per me? È proprio vero che i fiori te li presenta sempre un innamorato. Allora dalle sue mani bisogna
riceverli, con occhi da innamorati bisogna guardarli.”
    Incontrando un bambino che, seduto sulle spalle del babbo, guardava una macchia di fiori piccolissimi, nati sopra il muschio della roccia, gli chiesi: “Chi ha seminato questi bei fiori?” – “Il vento” mi rispose. 
    Eh, sì – conclusi – è un Vento innamorato di te e di me.

Riposante sonorità

M’è piaciuta la definizione che Ampelio ha dato alla parola deserto:  “terra bruciata”. Forse voleva dire che fa veramente deserto chi del proprio io fa terra bruciata; riduce in cenere tutti i propri egoismi.
“Venite in disparte!”, invita Gesù.  Con queste parole ognuno si sente invitato a “fare deserto”. Ma quale deserto?
Carletto, assillato e stressato dalle troppe occupazioni, un giorno al mese si rifugia dove più nessun tipo di lavoro lo incalza; il suo riposo è il poter non far niente.
Sandra, stanca degli altri, si ritira da sola dove non dipendere da nessuno; dove poter vivere la libertà dell’anonimato; dove, sconosciuta, non salutare e non essere salutata da nessuno. Va a passare un periodo proprio nel deserto del Sahara.
Elio affida alle quattro mura d’un convento il suo struggente desiderio di pace e solitudine.
Ma quanto vale questo appartarsi, rifugiarsi? Ogni solitudine di questo tipo non può essere ancora deserto. Ti porta lontano e ti separa dal rumore delle cose, ti pone nel silenzio delle creature.
Ma non è ancora deserto, non è ancora solitudine, non è ancora silenzio finchè con te porti te stesso, il tuo interesse, finché non fai terra bruciata  del chiasso del tuo egoismo.
Solo entrando nel silenzio del tuo io, trovi il vero deserto, godi una solitudine che ti regala una profonda e “riposante armonia.”

Ritmi e rintocchi

    Padre e figlio si alternavano in chiesa per il servizio di sacrestano. Suono delle campane a corda e accompagnamento d’organo alle funzioni liturgiche.
    Era un periodo in cui Mirko non brillava all’università, lamentava con gli amici che la fidanzata non era quella giusta: mille disturbi psicofisici facevano da contorno.
    Alfredo, il papà, soffriva di questa situazione familiare e, a sua insaputa, trasmetteva  il suo disagio anche con uno stanco din don di campane. Mirko, causa inconscia di tristezza, seduto all’organo, non trovava registri o ritmi intonati l’alleluja pasquale.
    Improvvisamente la gente avvertì che l’organo si era messo a sprizzare ritmi vivaci con registri spolverati a festa e perfino le campane “da morto” cominciarono ad intonarsi alla gioia pasquale.
    Tutti a complimentarsi con Alfredo per il bel suono delle campane; tutti a rallegrarsi con Mirko per la gioiosa esibizione all’organo persino ai funerali.
    La mente ed il cuore di padre e figlio si erano contagiati a vicenda con pensieri di speranza, prima umana poi cristiana, per gli avvenimenti positivi accaduti in famiglia.
    La promessa di matrimonio con una splendida ragazza; una gioiosa esperienza di conversione fatta da Mirko ad un incontro di “giovani per l’unità”; eventi che lo avevano trasformato profondamente dandogli il senso della vita.
    Ecco perché – Mirko confida –  fin dal mattino,  cerco di lasciarmi riempire il cuore dalle certezze vere e profonde; solo così dal campanile scenderanno rintocchi di festa e i tasti dell’organo danzeranno ogni giorno sotto le mie dita con generosi ritmi di gioia. 

Rumore o musica

E’ dimostrato che se ami il prossimo, ogni suo difetto diventa un pregio; ma se non l’ami, ogni suo pregio diventa un difetto.
    Ed è quanto insegna e quanto deve aver imparato per esperienza propria anche Serafino, un personaggio dei racconti di Dino Buzzati.
    A sua moglie aveva  ripetutamente detto, a bassissima voce, l’aveva supplicata di star zitta. Il registratore stava registrando  dalla radio. Le ripeteva di non far nessun rumore. Stava registrando Re Arturo di Purcel, un pezzo musicale tra i più belli che si possano ascoltare.
    Ma lei “dispettosa, menefreghista, carogna” su e giù con i tacchi secchi per il solo gusto di farlo imbestialire; non solo, ma poi si schiariva la voce, poi tossiva (apposta), ridacchiava da sola, accendeva il fiammifero in modo da ottenere il massimo rumore; e poi ancora a passi risentiti su e giù proterva. E intanto Purcel, Mozart, Bach, Palestrina, i puri, i divini cantavano inutilmente. Così non era più possibile durare con lei “miserabile, pulce, pidocchio, angustia della vita”.
    E adesso, lei non c’è più, se n’è andata, lo ha lasciato, ha preferito lasciarlo. Lui non sa nemmeno dove sia andata a finire.
 A questo punto Purcel, Mozart, Bach, Palestrina suonano, suonano, ma non hanno più senso, anzi agli orecchi di Serafino risultano “stupidissimi, maledetti, nauseabondi”.
Ora lui se ne sta appiccicato al registratore ad ascoltare quel ticchettìo su e giù, quei tacchi, quelle risatine, quel raschio in gola, la tosse. Questa sì che gli pare musica divina. Ascolta. Sotto la luce della lampada, seduto, ascolta. Pietrificato sulla vecchia sfondata poltrona. Egli ascolta, immobile, quei rumori, quei versi, quella tosse, quei suoni adorati, supremi. Che non esistono più.
    Anche se l’autore non lo dice, io sono certo che i due sono ancora tornati a vivere insieme. Sulla base solida dell’esperienza fatta hanno senza dubbio rifondato la loro famiglia, hanno ricostruito la casa sulla roccia.
    Hanno imparato che se l’ami, ogni rumore diventa musica; ma se non l’ami, ogni musica è rumore assordante.
S.Teresa di Lisieux aveva, vicina in chiesa, una consorella che con la corona provocava un continuo tintinnio. Teresa la amava così bene da “trasformare” quel rumore in una musica deliziosa e celeste.

Salmi dal canneto

    Erano gli anni in cui vivevo nel Friuli, in una casa di campagna, arricchita da un ampio parco. Ciò che attira la mia particolare attenzione in quel luogo è la presenza di un folto canneto ove, fra i rami, si danno appuntamento centinaia e centinaia di uccelli.
    Ogni sera e ogni mattina, puntualmente al tramonto e al levar del sole, li senti cantare e cinguettare in coro allegramente. Non riesci a distinguere il cinguettio di qualcuno in particolare, ma li senti tutti in coro. Se t’avvicini, tacciono; forse perché non tutti possono ascoltare i loro segreti.
    Non sai cosa dicono, ma se li ascolti a rispettosa distanza, t’accorgi che si dicono cose allegre e gioio
se. Si raccontano, forse, le esperienze, gli incontri e le sorprese della giornata, e in cor
o lodano Dio.
    Che strano! Ricordo che, contemporaneamente, noi frati avevamo al mattino le lodi e al tramonto i salmi della sera.
   

Salmi e trapano

    Queste righe riportano un episodio accaduto proprio durante l’ora di preghiera. Con il capocantiere ci siamo scambiati alcune battute sul modo di pregare. Lui si scusava per il chiasso assordante del loro lavoro. Lo rassicurai dicendogli che Dio unicamente non tollera il chiasso assordante di preghiere espresse senza l’accordo di cuori.
    Quella sera, proprio nella nostra chiesa, sono stati chiamati alcuni operai e muratori ad aggiustare una parete.
    Contemporaneamente due cori: i religiosi che riempivano le navate della chiesa con la loro voce, impegnati a cantare i salmi; gli operai che dovevano trapanare, piallare, martellare, schiodare, inchiodare. Chiassosa in chiesa la preghiera dei religiosi, o chiassosi gli strumenti degli operai? Quali dei due “cori” faceva orazione  e quali le preghiere più valide davanti a Dio? 
    Gli operai forse disturbavano i religiosi con il loro chiasso, o forse facevano orazione col rumore degli strumenti del loro lavoro. Chi disturbava di più? Chi pregava meglio? I religiosi forse disturbavano gli operai col rumore gutturale dei loro canti.
    Chi pregava meglio, di più? Facilmente tutti, in modo diverso, pregavano stando in comunione tra loro.
    Al Cielo arriva comunque la preghiera che parte dal coro dei cuori: non importa se  espressa dal canto dei salmi o dal chiasso del trapano, della pialla, del martello.

Scroscio di gioia

Una sera d’estate, nella chiesa del paese, ho assistito ad un concerto interessante: un “pizzicato d’archi”. Una trentina di violini, violoncelli, contrabbassi, mandolini disposti a semicerchio.
A metà del secondo tempo il concerto si è improvvisamente interrotto. Il silenzio si protraeva oltre il previsto e dalla platea ci si domandava il perché e il pubblico, pur compostamente, cominciava a dar segni di impazienza. – Cos’è successo?
“Scusate – spiegò il direttore – non possiamo proseguire la suonatasi è guastata una corda d’un violino. La stiamo riparando. Anche una sola corda di violino è molto importante. La sinfonia prevede la perfetta efficienza di tutti i violini e di tutte le corde di ciascun violino. Riprenderemo appena la corda sarà riparata ed il violino perfettamente accordato con gli altri.”
“Ma come?! nel pieno d’una esecuzione sinfonica, fermare centinaia di corde di una trentina d’archi e solo perché è stonata una sola corda?”- domandò, sorpreso, un ascoltatore. “Eh si – gli fu risposto – l’armonia è perfetta quando c’è l’accordo di tutti e di ciascuno”.
Appena gli archi riprendono a suonare, esplode uno scroscio di battimani.
Ho gustato in pieno la finale del “pizzicato”, ma ho sentito profondamente la spinta a ricorrere, sempre e senza esitazioni, alla misericordia di Dio che, appena ci vede disposti, riaggiusta la mia, la tua corda ogni volta si sia eventualmente rotta o guastata.
Accordarsi con Dio per accordarsi col prossimo; è il concerto più gradito a Dio: “Va prima ad accordarti con tuo fratello”.
La sinfonia della vita può riprendere così nell’armonia dei cuori. E ciò provoca uno “scroscio di gioia” in cielo e un’ondata di pace sulla terra.

Sei importante per me

    Ricordo il ritornello d’una vecchia canzone che diceva di una innamorata da cui si era allontanato il fidanzato: era andato lontano per diventare qualcuno; era andato a cercare motivo di maggior considerazione dagli amici e conoscenti; sperava tanto ma non gli riuscì. Rimase talmente deluso che non aveva più il coraggio di tornare a casa, né pensava di aver ragioni sufficienti per presentarsi dignitosamente dalla fidanzata.
    Con una lettera scrisse che non se la sentiva di tornare perché aveva tradito le aspettative di tutti e non voleva sottoporsi ad ulteriori umiliazioni nel dover  raccontare il suo fallimento.
    Ma da lontano l’innamorata gli fece arrivare questo messaggio: “Amore ritorna…non importa, non fa niente” se non sei riuscito a diventare quello che sognavi…Non fa niente se non sei diventato importante di fronte ai tuoi amici; non importa se con tutto il tuo studio non sei riuscito a fare carriera; non importa se hai fallito su tutta la linea…
    Amore ritorna! Sappi che ciò che unicamente vale, è che sei importante per me; sei tutto per me.”
    A te che mi ascolti, mi sembra di poter dire che Dio, per me e per te, usa le stesse parole, e senza dubbio con maggiore verità e con tutta credibilità: “Amore ritorna; sei importante per me”.

Sferruzzare cantando

    Non ho visto azione più monotona e mortalmente ripetitiva dello sferruzzare. Ancora piccolo m’incuriosivano quei due ferri: uno trattenuto  sottobraccio e l’altro mobilissimo nella mano destra della mamma. Cercavo invano di capire nodi e saltelli del filo di lana che scorreva tra quelle dita che arpeggiavano ininterrotte, animate dal canto.
    Appena vidi i due ferri inerti, appoggiati sulla sedia della mamma, intenta a fare la polenta, di nascosto li presi in mano e cominciai anch’io a muoverli secondo quanto vedevo fare da lei. Povero me, incappai in un rimprovero esemplare, non solo per aver presunto di fare ciò era impossibile a me, ma per aver ingarbugliato il lavoro così bene impostato per il mio maglioncino.
    Sono momenti che insegnano a non presumere oltre le tue capacità, ma che suggeriscono la grande importanza di stare a guardare, contemplare e immagazzinare  l’amore materno che, con artistica solerzia, si manifesta a tuo favore nelle varie arti suggerite dal cuore.
    Ho imparato come ogni momento, ogni gesto, per quanto ripetitivo e noioso, possa risultare bello e costruttivo se “ripetuto” per amore. Se ammiravo in lei l’artista che maneggiava con scioltezza i due ferri, riconoscevo in lei la “maestra di vita” che “sferruzzava cantando” e invitava anche me ad accompagnarla, facendo (diceva lei) la “seconda voce”, che mi riusciva così bene da meritarmi le sue lodi.
    Grazie anche a lei, ora mi riesce di far cantare il cuore in ogni noiosa ripetitività.


Si alla danza

Ti sarà capitato qualche volta di vivere momenti paradisiaci nella tua vita; dico momenti in cui ti sembra strano che tutto, proprio tutto, fili tanto liscio da crearti il sospetto che qualcuno stia preparandoti un “regalo” dei suoi.
Infatti, “tra coppa e collo”, in una maniera improvvisa e senza alcun preambolo m’arriva per telefono una calunnia mozzafiato, riferitami da un amico intimo che mi supplica di prendere il treno e, senza tardare, recarmi da lui a portare argomenti per provare la mia totale estraneità al “fattaccio” di cui venivo accusato.
Lui era convinto, anzi sicuro della mia innocenza, ma un peso di piombo mi gravava nell’animo. Intraprendo il lungo viaggio sforzandomi di credere all’amore di Dio anche in questo dolore.
Dopo alcune ora di viaggio, stanco di star seduto, mi alzo e vado nella carrozza-ristorante per un caffè. Sono a
ccolto da una musichetta allegra che riempie l’ambiente: un valzer suonato da una fisarmon
ica. “Perché, allora, non stare al passo di danza che il Partner mi suggerisce?”
È lo stesso passo fatto da Gesù quando – abbandonato dal cielo e dalla terra – ha creduto all’Amore e si è affidato nelle mani del Padre.
Il mio “si” detto con gioiosa e incondizionata fiducia è la risposta al ritmo della fisarmonica che mi getta tra le braccia di Dio, di colui che ti ama perdutamente e ti accoglie ogni volta che qualcuno ti butta via.

Un pizzicato d’archi

Mi trovavo al mio paese natio, Eraclea Mare, dove trascorrevo alcuni giorni in famiglia.
Una sera, nella chiesa del paese, ho assistito ad un concerto interessante: un “pizzicato d’archi”. Una trentina di violini, violoncelli, contrabbassi, mandolini disposti a semicerchio.
A metà del secondo tempo il concerto si è improvvisamente interrotto. Silenzio, curiosità. Il direttore d’orchestra, tradendo un certo nervosismo, si muoveva da un angolo all’altro del presbiterio. Il silenzio si protraeva oltre il previsto e dalla platea ci si domandava il perché di quella prolungata e strana interruzione; il pubblico, pur compostamente, cominciava a dar segni di impazienza. – Cos’è successo?
“Scusate – spiegò il direttore – non possiamo proseguire la suonatasi è guastata una corda d’un violino. La stiamo riparando. Anche una sola corda di violino è molto importante. La sinfonia prevede la perfetta efficienza di tutti i violini e di tutte le corde di ciascun violino. Riprenderemo appena la corda sarà riparata ed il violino perfettamente accordato con gli altri.”
“Ma come?! Nel pieno d’una esecuzione sinfonica, fermare centinaia di corde di una trentina d’archi e solo perché è stonata una sola corda?”- domandò, sorpreso, un ascoltatore. “Eh si – gli fu risposto – l’armonia è perfetta quando c’è l’accordo di tutti e di ciascuno”.
Appena gli archi riprendono a suonare, esplode uno scroscio di battimani.
Ho gustato in pieno la finale del “pizzicato”, ma ho sentito profondamente la spinta a ricorrere, sempre e senza esitazioni, alla misericordia di Dio che, appena ci vede disposti, riaggiusta la mia, la tua corda ogni volta si sia eventualmente rotta o guastata.
Può riprendere, così, la sinfonia della vita, nell’armonia dei cuori. E ciò provoca uno “scroscio di gioia” in cielo e un’ondata di pace sulla terra.
È il vangelo che mi spinge: “Va prima a riconciliarti con tuo fratello”; prima di pregare, prima di andare in chiesa, prima ancora di celebrare qualsiasi liturgia. Accordarsi col prossimo è il concerto più gradito a Dio.

Vibrazioni all’infinito

    L’eco d’un suono partito da una qualsiasi fonte sonora, o l’impercettibile onda del lago provocata dal tonfo d’un sasso che tu vi hai lanciato, esiste e persiste fino alla sponda, dalla quale riecheggia risospinta, anche se tu non lo sai, anche se tu non lo vedi.
    Le vibrazioni del suono lanciate nell’etere donano risonanze armoniche che a loro volta ne generano altre moltiplicandole all’infinito.
    Un atto d’amore partito dal tuo cuore, attraversa tutta l’umanità e benefica tutti e tutto; raggiunge cuori disponibili e assetati di tale vibrazione, facendoli risonare a loro volta, come generatori di altre infinite e rinnovate armonie.
    Un battito d’ali a New Deli – si dice –  genera una tempesta a New York. La responsabilità d’ogni azione, d’ogni gesto, d’ogni pulsazione del cuore è grande ed importante quanto il dare la vita.
    Chi ama vive e fa vivere. Il palpito benefico dell’amore attraversa l’intera umanità. Anche se non lo percepisci, esiste ugualmente, anzi ne sei beneficato anche tu.
    Quando m’accorgo che per mancanza d’amore la mia intonazione risulta stonata, sento che posso subito accordarla ascoltando gli impulsi del perdono ricevuto e donato.
    Ricominciando così infinite volte, risuona in me quella vitale armonia che fa vibrare il sol e l’altre stelle.

Vinitaly

    In questi giorni – mi comunica l’amico Pio – in Verona fervono i lavori per allestire un megaparcheggio capace di circa 15.000 macchine.
    Per questo si sgomberano i dintorni dei magazzini generali, si mette ordine in  tutti gli spazi dei supermercati, con una pulizia direi maniacale degna dell’arrivo di chissà quale personalità. Sta arrivando sua maestà “vinitaly”: la fiera delle fiere.
    Né trattori, né cavalli è “il vino” a vincere ogni competizione fieristica.
Perchè? Come mai tante spese, tanti sacrifici, tanta attrattiva, tanta “adorazione” per “Bacco”?
    E’ il dio dell’ebbrezza, il portatore della letizia che provoca, accompagna e  rallegra ogni festa.
    Pensa che lo stesso Gesù, alle nozze di Cana ha mostrato un debole per il vino. O meglio, per amore degli sposi, si è dato da fare oltre ogni aspettativa, per non farlo mancare alla festa di nozze.
    La gioia del vino.
    Quando c’è lo sposo bisogna far festa. E’ quando manca lo sposo che bisogna digiunare perché ritorni lo sposo e con lui un “brindisi” col vino e quindi la gioia di stare ancora insieme.
    Le qualità del vino se le è prese tutte Gesù tramutando nel suo sangue questa preziosa bevanda che nutre, corrobora e rallegra la vita. Pensa che Egli paragona il paradiso ad un banchetto di nozze.
    L’ebbrezza dell’Eucaristia suscita e accompagna le conversioni. Anche dalla Pentecoste sono usciti uomini decisi ed entusiasti, tanto pazzi d’amore che di loro si dice: “Erano stimati ebbri di vino coloro che lo spirito di Gesù aveva inondato.”
    Che Gesù ci ubriachi di sé,  per “correre, pazzamente gioiosi, a dare la vita per i fratelli”.