IL LAVORO È ANCHE GIUSTIZIA, RISPETTO E AMORE DEL PROSSIMO

In questi particolari momenti di crisi economica ci sono molti giovani che ricercano disperatamente un lavoro adeguato alle loro potenzialità e capacità ma purtroppo, per diversi motivi che già conosciamo, non lo trovano e si adattano a fare di tutto.

Ci sono alcuni, però, che vorrebbero dare la precedenza al divertimento cercando di evitare il più possibile di affrontare un lavoro onesto perché troppo impegnativo. Si accontentano di vivere in casa alle spalle dei genitori o dei nonni e non pensano assolutamente a cercarsi un qualche impiego.

Per chi non vuol sentir parlare di etica o morale religiosa si impegni almeno a ragionare sulla massima kantiana “agisci come se tutti dovessero agire come te”. Se nessuno volesse lavorare sarebbe davvero la catastrofe sociale. Immaginiamo una società in cui dominano i fannulloni?
Ricordiamo che il primo articolo della Costituzione italiana afferma che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Per chi invece ha ancora sedimentato in sé qualche principio cristiano la Chiesa ci indica degli orientamenti validi e precisi:
“Con il lavoro l’uomo abitualmente provvede alle condizioni di vita proprie e dei suoi familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità e collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione. Ancor più: sappiamo per fede, che, offrendo a Dio il proprio lavoro, l’uomo si associa all’opera stessa redentiva di Cristo” (Gaudium et Spes, 67).
Dai Vangeli sappiamo che Gesù stesso dedica molti anni al lavoro manuale  e solo un paio di anni alla predicazione.

S.Paolo è molto esplicito:
«Sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente notte e giorno» (Tess.3,7-8).
“Sentiamo che alcuni di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace”.
“Chi non lavora neppure mangi! (Tess.3,10)

Osserva GianMaria Polidoro:
“Per Paolo, la fuga dal lavoro crea uno squilibrio nel tessuto sociale. Crea vuoto da una parte e sovraccarico da un’altra. Da una parte crea la pretesa di un diritto ingiusto, e un dovere altrettanto indebito dall’altra. Mentre qualcuno non lavora, qualche altro deve lavorare per lui, così che c’è chi mangia pane che altri hanno sudato. II lavoro è dunque un diverso nome per dire giustizia, rispetto, e amore del prossimo.”

Pier Angelo Piai