Venerdì 18 gennaio Centro san Francesco Sala degli Archi

Conferenza di don Pierluigi Di Piazza, di mons. Guido Genero per il ciclo I fatti e la parola proposto dalle Acli provinciali e cividalesi e dal Comitato pro-motore “Paulinus Patriarcha”- Non violenza e Pace: il realismo di un’utopia nel solco della tradizione di san Paolino d’Aquileia”.
Ad aprire la strada del percorso di approfondimenti culturali per l’anno paoliniano è stato don Pierluigi Di Piazza, parroco di Zugliano, da anni impegnato con il Centro Balducci a portare avanti un progetto di aiuti, di solidarietà
locali a chi arriva nella nostra regione in piena indigenza, o profugo da luoghi di guerre.

La sua conferenza, poi, s’inserisce nel progetto annuale di riflessioni e spiritualità “I fatti e la Parola”, che le Acli
Provinciali predispongono da anni, molto seguito ed apprezzato anche nelle altre province della regione.
A Cividale, allora, dopo i saluti di Antonio Bocchi, presidente pastorale parrocchiale e di Franco Miani, vicepresidente
provinciale delle Acli, l’arciprete, mons Guido Genero, con un’allocuzione puntale ed efficace ha tracciato un profilo storico-teologico e politico della figura di san Paolino d’Aquileia, segnalando come già nell’VIII secolo lui riuscisse a tracciare un cammino cristiano, di persuasione profetica, percorribile da tutti i credenti dell’epoca, sia che fossero di origine latina, germanica o slovena, contribuendo in maniera concreta a pacificare il territorio su cui aveva giurisdizione di patriarca e dimostrandosi, in questo senso, un uomo
e un santo del tutto attuale.

È seguita la riflessione di don Pierluigi Di Piazza, che in particolare si è soffermato sul significato della pace, alla luce
degli ultimi avvenimenti in America ed in Afghanistan, denunciando quanta ipocrisia e falsità ci siano in molti atteggiamenti dei responsabili mondiali.
Il sacerdote di Zugliano, richiamando alla memoria la testimonianza di padre Balducci sulla Resistenza in Toscana
e sulle sue provocazioni feconde contro la violenza, ha evocato i nuovi pericoli del III Millennio, caratterizzanti un
pianeta disseminato da ordigni bellici di ogni genere e ha ricordato l’insegnamento profondo dello scolopio che diceva:
“Il futuro, o sarà un futuro di pace o non ci sarà futuro”
Ha evocato anche la figura di don Milani, che stigmatizzava persino l’ubbidienza sociale e civile se essa si ponesse
contro un progetto di pace. Ha ricordato quindi la figura della giapponese Suzuko Numata, superstitedi Hiroshima e instancabile propugnatrice di pace in tutto il mondo pur vivendo in condizioni fisiche assolutamente precarie.

“Costruire la pace – ha continuato don Pierluigi – anche grazie a questo tipo di testimonianze, significa percorrere
un tragitto dentro l’umanità, che c’è in ciascun uomo, in cerca di sostegni e di solidarietà, per far sì che il realismo
della vita non sia un cinismo della storia, e che è un’utopia del vivere non sia un luogo, che non si possa abitare mai,
seppure e magari con fatica estrema.”

Ci sono stati quindi altri spunti meditativi.
La costruzione della pace: un’impresa ardua, per cui shalom non significa solo assenza di conflitti e di guerre, bensì una pienezza di vita, uno status di equilibrio con se stessi, con gli altri, fra entità antropologiche complesse, in mezzo a popoli diversi e a continenti differenti, per chi vive poi una dimensione religiosa anche e soprattutto una pace con Dio.

In questo contesto, dinamico e non statico, l’uomo si fa fedele custode del progetto del Signore, in un rapporto complessivo e unico, per esempio anche di salvaguardia dell’ambiente.
Per guerra s’intende viceversa un progetto diametralmente opposto, con tutte le conseguenze terribili che si conoscono.
Il motto degli antichi, e prassi storica, che si ripresenta continuamente Se vuoi la pace prepara la guerra dovrebbe essere modificato in Se vuoi la pace prepara la pace, per un itinerario inverso con il coinvolgimento del cuore, della ragione, col superamento delle inimicizie, con l’affermazione dell’equità, della giustizia, per una cultura e una prassi di convivenza pacifica, con la possibilità concreta di affermare il diritto, con il coinvolgimento delle religioni, dialoganti al proprio interno e fra di loro non in maniera astratta e teorica.
Non potrà mai essere pace, infatti, nel mondo se non ci sarà pace tra le religioni, attraverso un dialogo che non può
essere solo un cammino di vertici.

L’11 settembre perciò coinvolge la coscienza e il cuore dell’immaginario di tutto il mondo. È stato detto che dopo l’11 settembre nulla sarebbe stato uguale a prima; ciò è senz’altro condivisibile, a patto che questo tragico evento aiuti a rileggere tutta la situazione con un occhio planetario, collocandosi a leggere il mondo dalla parte dei poveri, e non come è avvenuto con quell’unanimismo occidentale che, di per sé, ha preteso difesa, attacco e vendetta.

Il terrorismo, deprecabile e certamente condannabile, però, non è solo quello che ha colpito l’11 settembre; ci sono tanti terrorismi nel mondo, in particolare in America ed in Africa, silenti e dimenticati.

Risulta urgente e importante quindi, in chi ci crede, valorizzare un progetto, che dovrebbe essere affrontato a
più livelli, di una costruzione effettiva della pace, partendo dalle riflessioni bibliche, passando per le testimonianze
di molti profeti nel corso della storia e individuando nella cultura della pace sostenuta dai giovani la via migliore e più
sicura per far sì che l’utopia diventi effettivamente una realtà possibile.

Una lettura moderna di una strada già tracciata da Paolino, apostolo delle genti della nostra regione; un inizio nuovo di ispirazioni cristiane e valido anche per la chiesa locale friulana, alla ricerca di risposte a tante sfide che le sono poste continuamente da una società sempre più sorda al rispetto
dell’alterità ed alle indigenze di tanti che bussano alla porta in cerca di una sopravvivenza altrimenti impossibile.