dal Messaggero Veneto del 22/12/2001

Ovaro : I bambini di Pre Massimo


di NICOLA COSSAR

Pre Massimo amava i bambini. Per loro sognava un mondo più gioioso, senza i troppi sacrifici che la gente di montagna per tanto tempo ha dovuto affrontare per conquistarsi una vita dignitosa, serena, operosa, scaldata dalla fede e dal focolare.

Sono ormai passati 34 anni da quando l’infaticabile cuore di don Massimo Felice ha preso il troi che porta alla vallata di Dio, eppure la memoria degli affetti, fra chei di Guart, è forte come il cret, perché qui la gratitudine non conosce stagioni, passa di generazione in generazione. I bambini di Pre Massimo sono cresciuti, sono diventati papà e i loro figli oggi chiudono mirabilmente il cerchio della riconoscenza firmando Da Cella a Ovaro – Pre Massimo Felice: una vita di predi, un libro dedicato proprio a quello straordinario sacerdote, pubblicato sotto gli auspici della parrocchia della Santissima Trinità.

E i giovanissimi autori, ossia gli alunni delle elementari del comune di Ovaro (con un bel contributo dei colleghi di Forni Avoltri), saranno premiati proprio oggi, alle 11, in quella scuola che da maggio porta il nome di Pre Massimo.

La storia che raccontano è la storia del cuore, attraverso la testimonianza diretta, schietta, simpatica, e soprattutto vera, di quanti hanno conosciuto don Felice, lo hanno aiutato e da lui sono stati aiutati, nel nome di una solidarietà permeata di fede, ma fatta anche di rude affetto, di tante imprese, come la scommessa, vinta, dell’asilo che – guardando lontano – volle testardamente costruire e che adesso è diventato scuola elementare, più che mai la sua scuola e della gente della vallata, perché ognuno ha contribuito a realizzarla: con un’ora di lavoro, con una trave, un carico di cemento o di mattoni, pai nestris fruts.

Così i fruts di ieri raccontano ai fruts di oggi. Ed ecco scorrere tante immagini, tanti aneddoti, fin dai primi anni a Cella, dove Pre Massimo era nato nel 1911 da Giovanni (presto emigrato in Australia per mantenere i suoi) e da Maria Gardel. E poi gli studi in seminario a Udine, l’ordinazione dalle mani di monsignor Giuseppe Nogara, il 19 luglio 1936, la prima messa nella Plêf che da secoli protegge il piccolo borgo sul Degano. Un mese dopo, il primo incarico a Collina.

Qui resta 9 anni, indimenticabili per quella comunità. Quindi la guerra, che proprio nella sua Ovaro portò la tragedia del 2 maggio 1945, quando tra le vittime della rappresaglia cosacca (un popolo che andava incontro alla propria estinzione) ci fu anche il parroco don Pietro Cortiula. Così, cinque mesi dopo don Massimo tornò a casa, per segnare indelebilmente, attraverso 22 anni di straordinario apostolato, la storia della comunità.

Il volume non è un’agiografia, né una biografia, bensì un mosaico di memoria e d’amore, che ci regala tante immagini di don Felice: sacerdote coerente e roccioso, parroco instancabile e implacabile, eppure sempre buono e generoso, stimolante, creativo, persino imprenditore quando – infischiandosene delle critiche – girava la Carnia e il Cadore in cerca di materiale per il suo benedetto asilo e per la splendida sala per il cinema e il teatro, una delle prime fra le nostre montagne. Nessuno – dalla signorina Erker, proprietaria del cartiera, alle segherie del Sappadino, dai piccoli artigiani della vallata agli allievi dell’istituto professionale di Comeglians – riusciva a dirgli di no.

Perché Pre Massimo insisteva per dare tutto ciò ai bambini? Per farli crescere con riferimenti morali saldi, con una formazione culturale che permettesse loro di affrontare meglio il mondo del lavoro, magari senza dover andare a cercare il pane lontano dagli affetti. E sfogliando le pagine ricche di fotografie, un dolce rimpianto prende chi scrive, che vede sfilare gli amici di tante estati felici a Ovaro, vilegjant furlan (come tuonava il possente Lucio Zuliani) ospite di Vigj De Prato, il «tremendo» più buono del mondo.

Ed eccoli lì, i piccoli De Prato, i Tacus, i Mecchia, i Raber, i Mirai, Carlevaris, Gonano, Cimenti, Di Piazza, Brazzoni…
Ma don Felice non trascurava nessuno: quante volte andava a Udine per seguire le pratiche degli anziani? E nel grande ospedale non dimenticava nessuno dei suoi parrocchiani ricoverati. Ogni anno, organizzava un pullman per andare a trovare gli ovaresi emigrati, portandosi dietro un registratore con i messaggi delle famiglie.

E poi la benedizione delle malghe fra gli amici fedârs, le tante escursioni sui monti, le prime gite in giro per l’Italia e, soprattutto, la comunità che crede, che prega e che si aiuta vicendevolmente.

I bambini, la meravigliosa canaja, adesso hanno chiuso il cerchio e, forse, pagato il debito di Ovaro verso questo suo straordinario pastore, il «muratore di Dio» che veglia ancora sulla so int.
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