Per la prima volta nella storia, stranezza, idiozia e volgarità stanno diventando la norma culturale, persino un ideale culturale..

Siamo immersi nella cultura dell’idiozia.
Quella che stiamo creando in America è un’autentica cultura dell’idiozia, non, si badi bene, una sottocultura dell’idiozia come esiste in qualsiasi società.

Per la prima volta nella storia, stranezza, idiozia e voilgarità stanno diventando la norma culturale, persino un ideale culturale». Fa un certo effetto sentire che un famoso giornalista americano, Carl Bernstein, il cronista del Watergate, pensa e dice le stesse cose che pensiamo e diciamo noi, giornalisti approdati alla Seconda Repubblica italiana.

«Ave Silvio, morituri te salutant», ha scritto Indro Montanelli per dire che una informazione colta e intelligente è sicuramente perdente di fronte alle seduzioni, agli inganni e alla idiozia di massa che la televisione coltiva e impone.

Forse non è così in assoluto, certamente anche noi e i nostri figli troveremo i nostri conventi e i loro scriptorium, ma oggi come oggi la regola è questa: la prevalenza del cretino.

Intendiamoci: non è che oggi il rapporto fra le persone colte, educate, informate e quelle ignoranti, maleducate e psicolabili sia numericamente cambiato. Sono sempre numericamente in pochi i primi e in grandissimo numero i secondi, solo che oggi i primi non possono fare a meno della incultura e della grossolanità dei secondi, perché essi sono il mercato, l’audience, i voti.

Le persone intelligenti non scrivono più ai giornali come era d’uso fino agli anni di piombo; scrivono gli altri. Dico queste cose senza la minima puzza sotto il naso, senza nessuna irrisione per la massa, ma con molto spavento: una società, una cultura non possono reggere a questa alluvione di stranezze, idiozie e volgarità che con la cultura televisiva e purtroppo anche giornalistica ha rotto gli argini, non ha più alcun pudore, riempie il mondo delle sue ossessioni, scurrilità, violenze.

I personaggi nuovi sollevati da questa cultura dell’idiozia si tengono per mano, si assomigliano, rivendicano il diritto furbastro e anarcoide di segulre i gusti mutevoli delle masse alle quali la televisione e il giornalismo cosiddetto popolare hanno dato diritto di parola, qualsiasi parola, meglio se furente o demente.

Barbara Alberti ha dedicato un libro all’eroe di questa cultura suicida: Vittorio Sgarbi, una persona colta, raffinata, credo persino non malvagia che, stanca dei magri guadagni e delle piccole platee della cultura seria, si è gettato come mina vagante in quella idiota. Il suo lancio è avvenuto al Maurizio Costanzo show.

Ha capito perfettamente qual è l’audience: brava gente di ogni età e ceto che non sa niente, non ha niente da dire, ma applaude fischia e rumoreggia secondo suoi imprevedibili umori, la massa che ha perso le radici e gli spiriti terrestri, allievi sottufficiali di polizia, una scolaresca arrivata daTivoli, amici della signora Beppa o del cantautore di turno ora scatenati ora rabboniti da quell’abilissimo domatore di pulci che è Costanzo.

Anche gli antichi romani avevano capito l’importanza della plebe; solo che ora è scomparso il senatus ed è rimasto solo il populusque romanus.

Non sono la superbia, la difesa del privilegio che dettano queste righe. Sono la paura, lo sbigottimento di dover vivere in un paese, in un mondo, privi di eleganza, di ironia, di responsabilità.

Molti sono sinceramente convinti che alla massa si può dire tutto e il contrario di tutto, e che una battuta spiritosa e scurrile, un epiteto risolvono ogni nodo politico e sociale in una risata.


Abbiamo paura di un mondo dove le parole non hanno più un significato, dove le idee sono come la gomma da masticare e da sputare. Ci auguriamo che gli eroi di questa cultura idiota sappiano almeno che la loro è una vita disperata.

L’idiozia culturale (di Giorgio Bocca)
(L’Espresso 16 Settembre 1994)