anno: 1971
Regia: Marcello De Stefano
Soggetto: Marcello De Stefano e Bruno Biasutti
Sceneggiatura: Marcello De Stefano e Bruno Biasutti
Fotografia: Adriano Cossio
Musiche: Rodolfo De Chmielewski
Suono: Leonardo Venturini
Voce: Nevio Ferraro
Montaggio: Marcello De Stefano
Produzione: Di Esse Bi-Udine
Durata: 40’

Incontro
con un’infanzia rifiutata è il primo mediometraggio realizzato da De
Stefano all’aprirsi della sua esperienza cinematografica friulana.
Il film prende in esame il problema dei bambini minorati all’interno della nostra società.
La
cinepresa dell’operatore Adriano Cossio, in collaborazione col regista,
segue attentamente la vita che si svolge in una colonia estiva ed ha
per protagonisti dodici assistenti e venti bambini minorati, che vivono
gli uni accanto agli altri in perfetta sintonia.

Alla base di
questa esperienza, concertata dallo stesso regista assieme al suo
ideatore-promotore, lo psicologo Bruno Biasutti, vi è il concetto della
perfetta uguaglianza umana tra i bambini minorati e quelli cosiddetti
normali.
La chiave della riuscita del suddetto esperimento è data dall’affettività vissuta liberamente e dall’accettazione dell’altro.
Il
soggiorno è caratterizzato poi dal rientro serale dei bambini nelle
loro famiglie, proprio per non farli vivere al di fuori di quel nucleo
ambientale per loro importantissimo. Ciò allo scopo appunto di non
interrompere un legame affettivo indispensabile alla ipersensibilità del
subnormale, e per ottenere dall’esperimento pedagogico il più alto
rendimento possibile.

Si tratta quindi di avviare il bambino a
una sua liberazione attraverso un’educazione antiautoritaria e
antirepressiva, che non preveda un atteggiamento di tipo coercitivo da
parte dell’adulto pretesamente “normale” (sia esso genitore o
educatore).
Seguendo questi principi, è possibile favorire il
formarsi di una personalità cosciente nel subnormale, in modo che egli
sia sempre libero, fin dalla più tenera età, circa le proprie scelte
nell’ambito dei giochi, ad esempio, o dei bisogni essenziali, come la
preferenza di un cibo piuttosto che un altro.

Mentre nella prima
parte, indicandoci le possibilità insite in un tipo di educazione quale
quella appena trattata, il film-saggio – come la critica definisce il
cinema di De Stefano – è prevalentemente descrittivo, poi è fortemente
critico verso la società e il sistema che accettano solo chi produce ed
emarginano l’handicappato, rivelandosi così ingiusti e inumani.

Vi
è anche rifiuto della colonia tradizionalmente intesa (tanto che De
Stefano parla di Tissano – luogo dell’esperimento – come di
un’anti-colonia), della colonia cioè come paternalismo burocratico, di
una scuola differenziata come emarginazione dell’individuo.
E De
Stefano non esita a far riferimento ai campi di concentramento nazisti.
Infatti per ben tre volte ci appare dinanzi l’immagine di un filo
spinato, e una voce infantile, fuori campo, recita toccanti poesie di
alcuni bambini ebrei deportati nel ghetto di Terezin. Questo a
ricordarci che: «le radici del nazismo non sono state tutte estirpate
dalla nostra storia contemporanea » (50).

E
questi riferimenti ci riportano al clima di oppressione, allo stato di
disagio e di terrore in cui vivono gli handicappati in certi asili:
quelli di Grottaferrata, quelli di Prato, quelli di incriminati istituti
religiosi e di colonie (51).
Il film evidenzia anche altri episodi
riprovevoli a danno dei bambini minorati, come il caso Pagliuca (52), o
altri fatti meno appariscenti ma non meno riprovevoli, segno di una
mentalità discriminatoria, come il rifiuto del cittadino benpensante di
trascorrere le ferie con sotto gli occhi uno di questi bambini
handicappati.

Esiste, ed è evidente, un rifiuto della società ad
accogliere, ad accettare queste persone, che non saranno mai in grado di
produrre e rendere come le altre, e da ciò è automatico rilevare che
non si tratta di una società “ a dignità d’uomo”, giusta, se trascura,
anzi esclude, quelli che avrebbero bisogno di essere da lei aiutati.

Lo
stesso De Stefano ha confidato contro quali pregiudizi ha dovuto
lottare, pregiudizi dettati anche da un’errata buona fede che molti
conservano nei confronti di questa infanzia posta ai margini della
società. La quale -dice il regista- “può e deve trovare perfetta
eguaglianza umana coi bambini privilegiati, cioè quelli sani” (53).

Ed
io stessa, avendo operato nel settore del volontariato con i ragazzi
disabili, ho potuto constatare come ancora oggi, trent’anni dopo la
realizzazione del film (nonostante molte cose da allora siano
fortunatamente cambiate), esista una sorta di disagio, e in alcuni casi
anche fastidio, da parte delle persone venute a trovarsi accanto a dei
bambini minorati. A volte lo puoi leggere anche in un semplice sguardo o
in un gesto innaturale: è come se si trovassero dinanzi a una realtà
scomoda, qualcosa che non dovrebbe far parte della loro esistenza.

Ma Incontro con un’infanzia rifiutata (e, si
badi bene, non abbandonata, come alcuni hanno scritto) non è solo un
film contro l’emarginazione dei bambini minorati, bensì un film contro
l’emarginazione di tutti i gruppi sociali dei diversi (e lo si capisce
anche dall’accostamento dei ragazzi disabili a quelli di Terezin).

A
proposito del film De Stefano ha detto: «È nato come documentario ma,
sia per il linguaggio che per la tematica, credo vada ben oltre
giungendo al piano del pensiero, un pensiero, beninteso, che mira non ad
essere qualcosa di letterario o di astratto ma un insieme di
proposizioni concrete, operative per una innovazione psicologica e
politica del mondo non solo del bambino minorato ma di tutti gli
emarginati»(54).

Ed infatti il mediometraggio si chiude con
un’immagine di speranza, con quel filo spinato che viene reciso, quel
filo spinato che forse un giorno noi riusciremo a tranciare e a
strappare definitivamente, affinché non ci siano più odi ed
emarginazioni e tutti noi si possa finalmente essere liberi di amare il
prossimo senza barriere e senza confini.

E la voce dello speaker
accordandosi sulle note del commento musicale chiude il film con una
frase che raccoglie in sé il significato ultimo della pellicola: «A voi
non serve altro se non che gli altri vi accettino. Non potete essere
chiusi nel ghetto della produttività: la felicità per voi è possibile, a
patto che gli altri vi accettino come siete, e subito».

Oltre ad
essere un evento importante per la storia della pedagogia, Incontro con
un infanzia rifiutata segna una tappa fondamentale nel panorama
artistico della nostra regione, il Friuli Venezia-Giulia, perché
Marcello De Stefano sul «Notiziario della 33a Mostra Internazionale
d’Arte Cinematografica di Venezia» Marcello De Stefano un film sugli
emarginati, 27 agosto 1972.

l’intera equipe è formata da friulani
(55): Marcello De Stefano, che non solo ne è regista ma anche
soggettista, cosceneggiatore con Bruno Biasutti, e montatore; Adriano
Cossio (ben noto critico cinematografico e teatrale) direttore di una
splendida fotografia dal polso sicuro ed efficiente; Rodolfo de
Chmielewski, autore del commento musicale che riprende e adatta i canti
per bambini che i fanciulli ivi cantavano; e Nevio Ferraro, speaker.

Incontro
con un’infanzia rifiutata è stato presentato alla XXXIII Mostra del
Cinema di Venezia, prima compreso nella sezione Venezia 33, poi con
duplice proiezione in Sala Pasinetti appositamente riservatagli.
Qui
ha ottenuto notevole interesse di critica e di pubblico, facendo nascere
dibattiti vivi ed interessanti, su provocazione iniziale del regista,
sul tema dei bambini minorati, anche perché in sala erano presenti dei
genitori direttamente interessati.

Molti critici hanno sostenuto
che se ai tempi fosse stato possibile assegnare i Leoni d’Oro
(riconoscimento che in quegli anni era stato soppresso in seguito alla
contestazione del Sessantotto), quest’opera sarebbe stata sicuramente la
più meritevole di ricevere tale onore nella sezione riservata ai
documentari (56).

Ma a De Stefano è sufficiente la consapevolezza
di essere riuscito a realizzare un’opera filmica in grado di smuovere
le coscienze, capace allo stesso tempo di farci commuovere, di
indignarci e anche farci sentire in qualche misura colpevoli per il
fatto di permettere che certi fatti accadano intorno a noi, sotto i
nostri occhi. Ed è così che si concretizza uno degli intenti principali
del regista friulano: quello di fare del cinema uno strumento di
denuncia e allo stesso tempo di proposta.

Qui,
come scrive Paolo Pedretti in una recensione al film, “il cinema guarda
a se stesso con una rinnovata coscienza critica. Perché se è vero che
il cinema è uno specchio, ed è “curiosa” disponibilità a riflettere
qualsiasi cosa gli si pari dinanzi, è altrettanto vero che, tra le
proposte per una sua definizione ancora non raggiunta, una delle più
stimolanti è questa: cinema è scelta. E il lavoro di De Stefano, Cossio,
Biasutti e dei loro compagni è una ulteriore, consolante verifica di
quanto possa essere ampio il campo di questa scelta” (57).

NOTE

50 Così dal depliant che veniva distribuito durante le proiezioni del film.
51 Agli inizi degli anni Settanta i mass-media, giornali e
radio, trattavano di questi eventi-scandalo coinvolgenti fanciulli e
adulti minorati.
52 Rientra sempre nella precisazione della nota precedente
53 Piero Zanotto, 33. Mostra del cinema di Venezia su «Il Gazzettino»,
27 agosto 1972. Discorso, questo, ribadito dal testo che accompagna le
immagini.
51 Agli inizi degli anni Settanta i mass-media, giornali e
radio, trattavano di questi eventi-scandalo coinvolgenti fanciulli e
adulti minorati.
52 Rientra sempre nella precisazione della nota precedente
53 Piero Zanotto, 33. Mostra del cinema di Venezia su «Il Gazzettino»,
27 agosto 1972. Discorso, questo, ribadito dal testo che accompagna le
immagini.
55 Così
anche Domenico Zannier, Un film tutto friulano – Incontro con
un’infanzia rifiutata su «La Vita Cattolica», 23 settembre 1972.
56 Così anche Paolo Pedretti, Lo specchio e la scelta su «Gazzetta di Parma», 19 settembre 1972.

57 Ibidem.

LINKS:

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INCONTRO CON UN’INFANZIA RIFIUTATA
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